sabato 13 settembre 2014

Love Story #10 - Settembre

"Ciao gente! Eccoci qui con l'atteso capitolo di chiusura delle LoveStory. L'amore questa volta non è l'argomento principale perchè mi sono concentrata maggiormente sulla fine dell'estate. Dopo questo testo presumo che ci sarà un lungo periodo di silenzio da parte mia ma cercherò di farmi sentire qualche volta. Come al solito spero che vi piacerà e vi auguro un non troppo traumatico back to school. Buona lettura :)"

Laura era appoggiata alla ringhiera di legno del balcone della sua camera.
Fissava i monti che aveva davanti, le loro cime aguzze sporche di bianco si stagliavano contro il cielo terso di metà settembre.
Il sole si stava accoccolando tra le loro braccia di pietra lasciando l'aria alla frescura della sera.
Nella brezza timida che carezzava le foglie argentate del vecchio faggio del giardino si aggirava l'odore dolciastro e forte della legna bruciata e, in lontananza, si udivano le risa gaie figlie di una delle ultime feste d'estate.
Gruppi di rondini si allontanavano mirando alla linea scura dell'orizzonte, inseguendo quel sole veloce in cerca di calore.
Erano passati tanti anni eppure non si sarebbe mai abituata alla fine dell'estate, alla partenza di quell'amica complice delle più assurde avventure e delle più sincere risate.
Se ne andava silenziosa e tranquilla come la bassa marea.
Accarezzava i tetti arsi dal caldo dei suoi pomeriggi, scompigliava i capelli ai boschi e salutava i campi per poi dileguarsi seguita dai suoi cieli azzurri lasciando il posto all'autunno e la promessa di un ritorno.
Laura entrò in camera facendo scricchiolare il parquet e si sedette sul letto.
Si guardò intorno.
In quella stanza la battaglia tra le due stagioni era più evidente che all'aperto.
Sullo scaffale sopra alla scrivania disordinata riposavano docili i libri di scuola che, nel giro di pochi giorni, avrebbero cominciato a torturarla.
Accanto, dentro un vasetto di marmellata di pesche, la sabbia del mare scrutava spaesata i dintorni.
Lo zaino vuoto era abbandonato sulla sedia vicino al comodino pronto per pesarle sulla schiena.
Appoggiati allo schienale una maglietta macchiata di more e un paio di jeans strappati dai rovi di bosco cercavano invano di insegnare a quella cartella severa la pietà, raccontandole di lunghe passeggiate in montagna attraverso una foresta che, con i suoi fasci di luce, giocava a imitare le grandi cattedrali.
Sul comò un libro di fantascienza alonato di spray anti zanzare guardava con diffidenza le due biro che, nell'astuccio, erano pronte a dare battaglia a fogli di verifica.
Ma, soprattutto, sulla testiera del letto, attaccata precariamente a due pezzi di scotch c'era la foto di un ragazzo. Sorrideva con i capelli scompigliati dal vento e il mare sullo sfondo.
Ciò che le aveva lasciato quella stagione di sole erano emozioni, ricordi, macchie di frutta, amici ai quali difficilmente avrebbe scritto e altri che, invece, le sarebbero mancati. Sarebbero diventati tutti bei ricordi. Tranne quello di Marco che l'aspettava seduto sulla sabbia.
-Tornerò - disse, rivolta a quel sorriso che avrebbe atteso un suo bacio.

giovedì 4 settembre 2014

Love Story #09 - Mani sporche di stelle

"Ciao gente! Eccoci qui. Come promesso ecco il penultimo capitolo delle LoveStory, spero che vi piacerà: era mesi che cercavo di scriverla. Buona lettura a tutti :)"

Non parlava molto, anzi, a dirla tutta non parlava quasi mai. Le poche volte che era richiesto un suo parere su qualcosa mugugnava un sì o un no o dava voce a qualche impercettibile mugolio. Sua madre la giustificava dicendo che da bambina era stata vittima di bullismo e che quindi quella di avere meno relazioni possibili con il mondo esterno era una specie di autodifesa. Laura probabilmente capiva che quel suo atteggiamento era la causa della sua emarginazione dal gruppo ma non se ne curava. Forse ne era anche felice. In questo modo non incorreva nel rischio di fare cattive conoscenze. I compagni non la prendevano in giro; un po' per rispetto un po' per paura di quella lingua tagliente con la quale si guadagnava i voti migliori durante le interrogazioni. Laura non era stupida, per niente. Quelle volte che veniva chiamata alla lavagna spiazzava i professori con risposte coincise, chiare, che con il minimo sforzo lasciavano intendere concetti complicati che loro stessi avevano faticato a spiegarci. Aveva voti molto alti. Lo sguardo quando camminava sola per i corridoi era fiero, spavaldo e, quando qualche membro delle altre classi la prendeva in giro vedendola passare lei lo zittiva con un'occhiata, puntando su di lui quegli occhi profondi, incredibilmente glaciali anche nel loro color cioccolato. Il suo atteggiamento cambiava solo quando era fuori dalle mura scolastiche: prendeva a osservare il cielo, a squadrarne ogni porzione quasi infastidita dalla capacità mediocre che avevano i suoi occhi, di mostrarle solo così poco alla volta. Lo guardava quasi come se volesse coglierne l'essenza. Che era diversa da noi, che aveva un qualcosa in più, lo capivi subito. La sua personalità così forte e decisa andava oltre le salopette sporche di colore che portava sempre o le t-shirt semplicissime alle quali le abbinava o alle scarpe di cuoio che nessuno portava, oltre i suoi silenzi.
Sapeva sempre di vernice fresca e sapeva usare ogni tipo di pittura dai pastelli agli acrilici.
Aveva sempre una matita infilata dietro l'orecchio destro. Durante le lezioni non era mai veramente presente. Tirava fuori dallo zaino il suo blocco da disegno e si perdeva tra le sfumature della mina e dei pennarelli. I professori avevano smesso di riprenderla, comunque sapeva sempre rispondere ad ogni domanda ed era questo che a loro importava.
Un giorno, prima di andare a pranzo, dimenticò il blocco sul banco ed io mi nascosi in bagno aspettando che tutti scendessero. Mi avvicinai con cautela ai fogli con una sorta di rispetto quasi religioso e presi a sfogliarli.
Quelle pagine erano incredibili. Degne di un corso di disegno avanzato. C'erano tecniche che neanche conoscevo. Si riconoscevano i ritratti di ognuno di noi, qualche caricatura dei professori, gli alberi del giardino, studi di foglie secche e di fiori. C'era la riproduzione della nostra classe presa da varie angolazioni, disegni in stile manga, copie perfette di alcuni dei capolavori di grandi artisti. Ma quelli che mi colpirono più di tutti furono i paesaggi. Decine di paesaggi e di cieli tempestosi. Gli unici che aveva colorato. C'erano tramonti equatoriali, bufere in mezzo a mari plumbei che giocavano con minuscole navi indifese. C'erano campi di papaveri e di colza sotto volte celesti e violette, nuvole sfumate di rosa e di deliziosi colori pastello. Erano talmente curati da sembrare vivi. I firmamenti sui quali si era concentrata di più, però, erano quelli notturni. Milioni di piccole stelle che invadevano notti estive, quasi sfumate d'arancio. Angoli di spazio profondo, lune nascoste dietro a nuvole scure... Era di quelle stelle che aveva sempre le mani sporche. Erano pezzi del suo cielo che le si erano attaccati addosso.
Lo richiusi e tornai in bagno ad aspettare che la mia classe tornasse dal pranzo per unirmi a loro senza dare nell'occhio.
Forse ero l'unico che perdeva così tanto tempo ad osservare Laura. Forse, senza volerlo, mi ero innamorato di lei. Senza forse.
Quel pomeriggio la vidi buttare sul banco tutti i mozziconi delle matite che aveva nell'astuccio e la sentii maledirle sottovoce per essere diventate corte così in fretta.
Quando uscii da scuola andai nella cartolibreria del mio quartiere e comprai il set da disegno più bello che c'era in vendita. Il giorno dopo entrai in classe per primo e lo appoggiai sul suo banco insieme ad un biglietto. "Scusa, mi sono innamorato di te. Marco" Lei entrò poco dopo insieme ai pochi altri compagni e spalancò gli occhi quando vide la valigetta. Lesse il foglietto, guardò me, poi i miei compagni, lo infilò in tasca e disse ai pochi che si erano avvicinati:
-Oh, l'avevo dimenticato qui ieri.- si sedette e lo aprì.
Era impassibile ma da dove mi trovavo potevo vedere i suoi occhi lucidi.
Pensavo di aver fatto colpo, di essermi guadagnato la possibilità di avvicinarla, di parlarle, ma i giorni passavano e non ricevevo neanche un grazie.

Era il lunedì della settimana successiva e mi stavo maledicendo per aver speso così tanti soldi per una ragazza che, era chiaro, non mi avrebbe mai ricambiato. Entrai in classe a testa bassa dirigendomi verso il mio banco e salutando qua e là i miei amici. Appoggiato sulla lamina di plastica verde c'era una busta bianca sigillata.
La aprii fingendo noncuranza mentre il mio cuore minacciava di esplodere. Dentro c'erano una decina di miei ritratti, ognuno fatto con un tipo di colore diverso. C'era anche una lettera. "Scusa se ti rispondo solo ora, mi ci è voluto del tempo per provare su di te tutto il contenuto della valigetta. Non ti ringrazierò mai abbastanza. E' il più bel regalo che abbia mai ricevuto. Anche io mi sono innamorata di te per sbaglio. Stavo facendo il tuo ritratto, come ho fatto quello di tutti gli altri e mi sono accorta che i tratti del tuo viso erano incredibilmente piacevoli da riprodurre. Ne ho fatti altri, a casa ne ho un album pieno. E mano a mano che ripassavo i tuoi tratti mi accorgevo di amarti. Non ci sono abituata. Tutti quelli a cui ho aperto il mio cuore mi hanno ferita. Non hai idea di cosa voglia dire non avere nessuno oltre ai tuoi genitori per anni. Ho deciso di darti una possibilità. Non farmi soffrire." Alzai gli occhi e la guardai. Mi fece segno di seguirla fuori dalla classe. Lì, dietro alla porta, ci guardammo negli occhi. Le porsi la mano, lei mi tirò verso di sé e mi baciò. Vidi tutte le tonalità dei cieli stellati.

lunedì 1 settembre 2014

Love Story #08 - Un passo avanti

"Ciao gente! Eccoci qua con un nuovo capitolo delle LoveStory dedicato agli innamorati con il freno della timidezza. Mi scuso se la scorsa settimana non sono riuscita a postare ma sono stata piuttosto occupata. In cambio scriverò due testi in questa. Mentre il capitolo della prossima, vi avverto, sarà l'ultimo della rubrica. Per il momento è tutto. Buona lettura :)"

Il problema di algebra.
Questo dannato problema di algebra. Esercizio 108 pagina 263.
Possibile che non riesca a risolverlo?
Le ho provate tutte ormai.
Con un'espressione, con una proporzione, con una frazione, con un grafico...
Mi fermo sempre allo stesso punto.
Un'ora e un quarto della mia vita sprecato per risolvere un inutile problema di algebra.
A quest'ora potrei essere a casa a giocare ai videogiochi prima che mia mamma rientri dal lavoro e mi ordini di spegnere tutto.
Oggi la biblioteca è così vuota che si sentirebbe cadere uno spillo...
La scuola comincia tra due settimane e io sono ancora qui a finire i compiti.
Che nervi.
Senza contare che oltre ad algebra ho ancora da finire quattro versioni di latino, una di greco e due libri tremendi da leggere.
Fortuna che esiste questo posto. Almeno non sento le urla e i risolini di mio fratello che gioca con i Lego.
Vorrei una bacchetta magica per prendere il diploma e potermene stare tranquillo fino all'inizio dell'università.
Basta! Adesso la smetto con questi pensieri inutili e mi sbrigo a uscire da qui.

Ho appena alzato gli occhi sull'orologio dopo un'altra mezz'ora passata a cercare la chiave di risoluzione di questo incubo di problema. Risultato? Ho scoperto che è tardi e che non sono capace di risolvere da solo gli esercizi con terzo livello di difficoltà.
Mi guardo intorno cercando di ripristinare le mie funzioni cerebrali che non riguardano la scuola.
Durante il mio coma matematico al tavolo a fianco al mio si è seduta una ragazza.
Oh cavolo! E' Laura!
Fa il mio stesso anno. Frequenta la classe a fianco alla mia.
Ci conosciamo dall'anno scorso e mi è sempre piaciuta ma non glielo mai detto...
Ragazzi... Non fate quella faccia...
E' difficile dichiararsi! Soprattutto quando lei è così bella, simpatica e popolare.
Non ne ho mai avuto la forza...
Però adesso mi serve una mano con questo problema e lei forse sa risolverlo.
-Laura, ciao, mi aiuteresti con questo problema per favore?
-Ciao Marco!- Bella la sua voce... Calda, piacevole e allo stesso tempo cristallina.-Ma sì dai, tanto non ho niente da fare. Sto aspettando le mie amiche.- Si alza e si avvicina silenziosa alla mia sedia.
-Qui?
-Già, non lo sa nessuno. C'è gente stupida che pensa che leggere sia da sfigati... Quindi preferisco che rimanga un segreto.- Mi fissa con i suoi occhioni scuri lasciando intuire un senso di irrequietezza sperando che affidare a me un'informazione così delicata non sia stato un errore.
-Ah, beh, con me è al sicuro.
-Bene. Vediamo questo problema.- Si avvicina a me e guarda l'esercizio per alcuni secondi poi dice:
-Oh, ma è facile.- Prende in mano la matita e scarabocchia alcuni numeri sul foglio- Vedi un po' se così ci riesci- sto squadrando la pagina a quadretti cercando di dare un senso alle cifre di grafite che ci sono comparse sopra.
-Laura! Sei un genio!
-Ah, è che quando non se ne ha voglia non si riesce a fare niente- lo schermo del suo cellulare si è appena illuminato- Oh, ecco, sono arrivate le mie amiche- si avvia verso lo scaffale per riporre il libro che stava leggendo. Mi si avvicina e mi bacia una guancia.
-Ciao Marco- il suo profumo... Mi avvinghio a lei affondando il naso tra i suoi capelli scuri, schiacciando il suo viso contro il mio.
-Marco... Devo andare- la sua voce mi riempie la testa . La stringo ancora più forte
-Senti, mi lasceresti il tuo numero? Così se magari non mi viene qualche altro problema ti mando un messaggio.
-Sì, dai. Scrivimi anche se non hai niente da fare. Anche quello è un problema.- mi fa un'occhiolino, si passa una mano tra i capelli e schiva agile i tavoli portando la sua figura sinuosa oltre la porta dell'entrata. Se ne va, spavalda, a testa alta verso gli ultimi giorni di sole.

Credo che da ora in poi avrò tanti momenti morti da riempire...

sabato 23 agosto 2014

Love Story #06 - L'ultimo mozzicone

"Ciao gente! Eccomi qua con una nuova LoveStory. La pubblicazione di questa settimana è stata piuttosto tribolata ma, alla fine, ci sono riuscita. Come al solito cerco di essere innovativa per quanto riguarda l'amore cercando di prendere l'argomento da vari punti di vista. Spero che quello di oggi vi piaccia e mi auguro vi iscriverete in molti o che, almeno, lascerete un commentino ma, se non lo farete, mi accontenterò di avervi regalato un'altra emozione. Buona lettura a tutti!"

Freddo.
Laura alzò gli occhi fissando il cielo nero.
C'erano tante stelle in una notte senza luna, buia come gli incubi di chi ha perso la voglia di vivere,
Provò a fissarne una, poi un'altra e quella a fianco ma sembrava volessero sottrarsi al suo sguardo tremando imbarazzate davanti a tanta insistenza.
Il vicolo era vuoto e il ghiaccio infilato tra i blocchetti di porfido nero forzava le fessure con mano aggressiva. Di tanto in tanto, nel silenzio, echeggiava lo schiocco di una pietra che, arresa al gelo, si affacciava dalla sua tana di terra bruna.
Laura sfregava i piedi facendo grattare la polvere sugli anni del lastricato.
Strinse gli occhi fissando la luce balenante del lampione che aveva di fronte.
Digrignò i denti circondandosi dei suoi mille assurdi pensieri mentre il calore debole e insignificante di quell'arancio timido provava invano ad abbracciarla.
I capelli morbidi le incorniciavano il volto stanco.
In quella viuzza reietta si stava spargendo lentamente il suo aroma di tabacco.
Le spalle abbandonate sul muro scrostato.
Infilò una mano arrossata dal freddo nella tasca dei jeans ed estrasse il cellulare.
Mezzanotte e cinquantadue. Ancora otto minuti.
Premette il tasto di spegnimento e lo rimise dove l'aveva pescato.
Si massaggiò lentamente le dita indolenzite e screpolate osservandole vene bluastre.
Poi cercò il pacchetto di Marlboro rosse e ne accese una decisa a fumare la sua ultima sigaretta.
Soffiò verso l'alto quel misto sporco di fuliggine e catrame che da due anni le stava logorando i polmoni.
Sputò verso i gerani dell'ultimo piano, verso le imposte chiuse delle soffitte, i coppi arsi dal sole di un'estate troppo lontana e dimenticata e verso quelle stelle imprendibili che coronavano la notte.
Schiacciò con forza il piede sulla cenere grigiastra dopo aver buttato a terra il mozzicone e attese che i passi frettolosi e lontani che udiva si facessero più vicini.
-Amore! Che c'è? Vuoi farmi una sorpresa?-
-Si- Laura sorrise con amarezza alle parole del suo fidanzato.
-Una notte d'amore? Ti sei finalmente decisa?- Laura gli lanciò il pacchetto mezzo pieno sul petto.
-Direi di no... Ho deciso di tornare ad essere quella di un tempo. Te la ricordi? Quella che tu volevi morta e che io ho provveduto ad uccidere. Per amore. Ho rinunciato ai libri, alle ore in biblioteca, alle amiche che avevo da anni, alle camicie, alle ore di sonno al sera. Per amore. Ho cominciato a fumare, a trasgredire le regole, a trascurarmi, a frequentare persone volgari e ottuse. Solo per amore, per te, perché pensavo che tu valessi tutto questo. Ma non c'è niente di quello che volevo in quello che ho ora. Voglio tornare a sorridere, a profumare di mughetto e non di tabacco, voglio mettere le gonne, vedere film strappalacrime. Voglio me stessa indietro quella che ho fatto fuori per la felicità di qualcuno che non mi amava.
-Ma cosa stai dicendo?- Marco era allibito
-Tienile quelle sigarette. Laura Montichiari non è quella che hai davanti. Laura Montichiari non fuma. Voglio riavere la mia vita, Marco e il primo passo è chiudere con ciò che mi ha resa così. A cominciare da te. Lo faccio per amore ma questa volta di me stessa.

sabato 16 agosto 2014

Love Story#05 - Cartacee amanti

"Ciao gente. A voi il quinto capitolo delle Love Story. Quella di questa volta è una relazione diversa dal solito che forse ha qualcosa in comune con Cuore di pietra. Come sempre spero che vi piaccia. Ci terrei a farvi notare che i libri citati nel testo esistono veramente e, se non avete nulla da leggere. ve li consiglio caldamente. Buona lettura"

Libri. Marco superò le porte scorrevoli all'ingresso della biblioteca.
Il pavimento di parquet scricchiolò sotto i suoi piedi. Non voleva studiare quella mattina.
L'estate non è la stagione dello studio, è la stagione degli amici.
Aveva pensato di chiamare Leonardo per fare un giro nei dintorni facendo credere alla madre di avere la testa tra le pagine.
Ma, neanche farlo apposta, il cellulare gli era scivolato dalle mani uscendo di casa e, rimbalzando, aveva raggiunto il pianerottolo del secondo piano.
Inutile dire che non ci fu verso di farlo funzionare.
Aveva sparato una decina di parolacce e imprecazioni infilandosi il cadavere del telefono in tasca.
Quindi niente Leonardo. O chiunque altro. E che senso avrebbe avuto andare in giro senza amici?
Non gli restava che entrare in quell'incubo che i nerd chiamavano biblioteca e cercare di mandare giù un paio di pagine per passare l'esame riparatorio di settembre.
Abbandonò lo zaino semi vuoto su una sedia e si afflosciò su quella a fianco imitando la cartella.
Sbuffò. Appoggiò la fronte al tavolo e aspettò che le nozioni di algebra gli entrassero magicamente in testa. Non aveva proprio voglia di studiare. Era l'unica cosa che avrebbe fatto quel giorno. Indirizzò non poche parolacce a sua madre che, quella mattina, l'aveva spinto fuori dalla porta gridando cosa aveva fatto per meritarsi un figlio simile.
Dopo un tempo che non seppe calcolare ma che di sicuro era di più di dieci minuti e meno di dieci ore alzò la testa e si guardò attorno. C'erano solo una quarantenne con il figlio di dieci anni e un uomo sulla settantina. Non poteva neanche sperare di rimorchiare...
Lanciò un'occhiata alla cartella che, anche così moscia e stropicciata, gli ringhiava con i suoi denti di zip.
Si alzò trascinandosi verso gli scaffali.
L'ultimo libro che aveva letto era stato Piccoli Brividi a nove anni. Tutto ciò che sapeva sulla lettura l'aveva imparato tra uno sbadiglio e l'altro durante le rare lezioni di antologia.
Si avvicinò alle mensole con circospezione, a distanza di sicurezza, come se quei volumi potessero allearsi con il suo zaino e saltargli al collo.
Passò davanti alle storie di ragazzi e ragazze. Odiava quel genere, tutti a raccontare i propri problemi...
Seguivano sette scomparti dedicati alle biografie. Ancora peggio, erano sempre scritte con un linguaggio noioso e antiquato.
Poi si passava ai racconti di fantasia. Detestabili, i loro scrittori erano quelli con meno fantasia di tutti. i romanzi erano tutti uguali: il cattivo vuole conquistare il mondo delle fate perché ha manie di potere e loro chiedono aiuto ai potenti maghi per sconfiggerlo... Letto uno li avevi letti tutti.
I miei primi libri. Figuriamoci... Al massimo avrebbe trovato "Gioco e imparo: i colori".
Libri in lingua: letali per i pochi coraggiosi che avevano l'ardire di leggerli. Davvero odiosissimi.
O forse era lui il caso perso? Effettivamente quei mucchietti di pagine non gli erano mai stati simpatici. Ci si teneva lontano come da una malattia mortale facilmente trasmissibile.
Tornando al tavolo passò davanti alla sezione fantascienza. Gli cadde l'occhio su una copertina bianca con una mano grigia e sbiadita nel mezzo. Al centro troneggiava in rosso la scritta Unwind: la divisione.
Era il primo ad incuriosirlo. Lo fece scivolare svogliatamente dal leggio dove era esposto e lesse la prima pagina poi la seconda e ancora la terza. Tornò al tavolo con gli occhi incollati alle pagine ingiallite senza alzarli neanche per spostare la sedia e sprofondarcisi maldestramente.

Quando richiuse il volume erano le quattro del pomeriggio. Non aveva neanche mangiato... Gli sembrava una follia eppure erano anni che non trovava niente del genere.
Tornò a mettere il libro sull'espositore e ne scelse un'altro dello stesso autore.
Everlost. Facendosi rapire dalle sue storie di fantasmi e mostri.

La bibliotecaria gli posò una mano sulla spalla.
-Ragazzo, sono le sette e mezza, la biblioteca chiude.-
-Ah, si, peccato.
-Guarda che puoi prenderlo in prestito il libro, eh.
-Fantastico- esclamò Marco alzandosi dalla sedia e barcollando stordito verso l'ufficio di prestito.
Uscì dalla biblioteca con il tomo stretto al petto e la cartella sulle spalle zittita da quell'avvenimento così
 inusuale.
Camminava con un sorriso ebete sui quadretti di porfido della via, il cappello in testa e la canottiera larga. Con quelle pagine tra le mani sembrava quasi una contraddizione.
Si svegliò dal suo torpore solo quando sentì le voci dei suoi amici dietro di se.
Non l'avevano visto e facevano chiasso come al solito appropriandosi della strada.
Si eclissò nel primo vicolo che gli capitò a tiro lasciando che lo superassero... Aveva il respiro affannoso...
Sembrava così insensato... Eppure sarebbe bastato quel libro per escluderlo dal gruppo nel quale era entrato con così tanta fatica.
Pensò subito di tornare indietro a restituire il volume e chiuderla per sempre con quella storia assurda. Eppure le gambe si rifiutavano di portarlo fuori dal vicolo , le braccia di smettere di stringere la copertina lucida e anche lui si rifiutava. Gli era bastato un pomeriggio per innamorarsi della lettura e non aveva la forza per lasciarla.
Quelli che l'avrebbero giudicato solo perché leggeva non erano suoi amici. Quelli che avrebbero fatto così facilmente a meno di lui non meritavano quel nome.
Ma non poteva auto escludersi. Oltre a loro non aveva nessuno.
Gli ci vollero dieci minuti per raggiungere la fermata dell'autobus e venti per raggiungere casa. Trenta minuti che gli servirono per decidere che mosse fare.
Avrebbe continuato a recitare la parte del duro mentre di notte si sarebbe rifugiato tra le braccia delle sue cartacee amanti.

domenica 10 agosto 2014

Love Story #04- Il 92

"Ciao gente! Eccoci qui con la quarta LoveStory. Come al solito spero che vi piaccia. Ci tenevo a precisare che la storia è puramente inventata, così come i nomi dei personaggi e il numero di telefono di Marco. Grazie e buona lettura"

Laura aveva sette anni quando incontrò Marco per la prima volta.
Era estate.
Lui aveva due anni più di lei.
Non andavano semplicemente d'accordo, non si volevano semplicemente bene, si piacevano e non poco.
Stavano sempre insieme, parlavano di tante cose, correvano cercando di prendersi nel grande parco della scuola dove frequentavano il centro estivo.
Poi arrivarono gli abbracci, i baci sulle guance. Arrivò l'invidia degli altri bambini.
Le prese in giro, le derisioni, le frecciatine... Marco decise di non venire più né quell'anno né quelli successivi.
Non si videro per tre anni.
Arrivò una nuova estate e l'ultimo anno di centro estivo. Si videro tra centinaia di ragazzi che lo frequentavano ma non si parlarono, troppo timidi e timorosi.

Laura saltò sull'autobus in partenza e si sedette nell'ultimo posto a destra, vicino al finestrino.
Doveva andare in città con i suoi amici. Infilò le cuffie e prese a guardare il mondo che scorreva tranquillo al suo fianco. Finalmente aveva finito gli esami di terza media, poteva rilassarsi prima di ripartire con il nuovo anno scolastico.
Il rombo del motore si attutì mentre il veicolo sostava alla prima fermata.
Laura girò pigramente la testa e osservò una decina di persone salire sull'autobus. C'era un viso familiare tra loro... Anche lui la fissava... Laura ebbe un tuffo al cuore mentre le sue labbra si schiudevano per regalargli un largo sorriso. Marco Prato. Non era possibile. Avrebbe scommesso che non lo avrebbe più rivisto e invece... Eccolo lì a farsi strada tra la gente per sedersi affianco a lei. Non era bellissimo. Era un ragazzo normale ma agli occhi della ragazza non avrebbe potuto essere più attraente.
Laura raccolse le idee e si impose di calmarsi.
-Hey! Guarda chi si vede! Ciao Laura, come va?-
-Bene dai, tu?
-Non c'è male...
-Quindi tu adesso devi andare in terza superiore, giusto?
-Esatto. E tu in prima, no?
-Già...
-Come ti sono andati gli esami?
-Alla grande! Soprattutto perché sono finiti!
-Già, capisco. Che liceo hai scelto?
-Classico... Si lo so, sono iscritta al suicidio ma, cosa vuoi, mi piacciono le sfide.- aggiunse Laura ammiccando. -E tu? Liceo?
-No, no, io ho optato per un tecnico... Il liceo non fa per me.
-E nel tempo libero fai qualche attività? Incalzò lei.
-Si, teatro. Faccio parte di una bellissima compagnia. E tu?
-Pure. Adoro recitare.- "Chiedigli il numero di telefono, avanti!" Si disse tra sé Laura.
-Ma dai! Bello! Esclamò lui.
-Già.- "Dai, stupida! O adesso o mai più, dai!"- Senti...-
-Scendi in stazione?
-No, tre fermate dopo.
-Ah... Peccato... Beh, io sono arrivato, ci vediamo.- Si alzò e l'abbracciò più forte del necessario. Laura si perse tra le sfumature del suo profumo. Marco si staccò da lei e scese.
"Stupida! Chissà quando lo rivedrai adesso!" la sua vocina interiore era furibonda.
Laura si rincantucciò sul suo seggiolino e attese che l'autobus ripartisse.

Erano passati due mesi e ad ogni fermata Marco sperava di rivederla. Perché non aveva trovato il coraggio di chiederle il numero di telefono!? Si sarebbe preso a schiaffi da solo.
Il 92 si fermò davanti a lui per farlo salire e lui si fece largo tra la gente per raggiungere l'unico, insperato posto libero vicino al finestrino in fondo a destra. Prese a guardare fuori: alberi, strada, auto, ristorante, alberi, pompa di benzina, auto, auto, motorino, camion, ferramenta, alberi, pedoni, autobus.
Notò il gesto di saluto che il conducente rivolse al collega passandogli davanti e una ragazza con il naso schiacciato contro la vetrata seduta nell'ultimo posto. Laura lo stava fissando e gli fece un cenno con la mano prima di superarlo.
Cavolo! Sì, l'aveva rivista ma era servito solo ad avere ancora più voglia di lei. Il destino li teneva lontani. Marco aprì lo zaino, frugò tra portachiavi, auricolari ingarbugliati, chiavi , soldi, fogli stropicciati, penne scariche e finalmente trovò l'indelebile nero che stava cercando. Si girò e, velocemente, scrisse: MARCO PRATO 339 27 563 12.
Poi scese ricacciando il pennarello nello zaino.

Due giorni dopo Laura salì sull'autobus 92 in via Garibaldi per tornare a casa e, avvicinandosi al solito seggiolino, intravide un nome, un numero. Sul suo viso si dipinse il suo sorriso più radioso.

domenica 3 agosto 2014

Love Story #03 - Cuore di pietra

"Ciao gente! Eccoci qui con la consueta rubrica settimanale. Quella di questa volta, oltre ad essere più corta, sarà un po' diversa dalle altre. Ma non vi svelo nulla. Invece vi voglio informare che non avrò più un giorno fisso per postare le Love Stories ma che ne pubblicherò sempre una alla settimana. Per il momento dovrei aver detto tutto. Buona lettura"

Marco camminava, il passo lento nella notte giovane.
Aveva tutto il tempo del mondo.
Posava i piedi sui blocchetti di porfido notando la loro forma sotto le suole fini.
Si guardava attorno, gli occhi neri riflettevano le luci calde dei vecchi lampioni.
Respirava a fondo, quasi volendo  dissolversi nell'aria notturna.
Voleva perdersi nei mille vicoli divenuti scuri col mancare del sole.
Li ricordava tutti per nome, conosceva ogni angolo.
Si lasciò avvolgere da quell'atmosfera così strana, sfumata eppure così familiare.
Percorreva piano le stradine semi deserte osservando i palazzi.
La sua città aveva sempre qualcosa da fargli scoprire.
Si fermò, appollaiandosi su una colonnina di marmo lucidata dal tempo.
Prese a pensare alle mani che l'avevano sfiorato.
Quante l'avevano maledetto dopo averci sbattuto contro? Quante ragazze vi ci erano sedute baciando i loro ragazzi? Quanti vecchietti l'avevano ringraziato di averli sostenuti dopo aver inciampato? Sicuramente molti non ci avevano nemmeno fatto caso: L'avevano semplicemente superato magari toccandolo per darsi una spinta nelle camminate frenetiche verso il lavoro. Probabilmente nessuno aveva mai riflettuto sulla sua storia come stava facendo lui in quel momento.
Davanti aveva un palazzo arancione schiarito dal sole estivo e crepato dal ghiaccio invernale.
Sotto il tetto si intravedevano le assi di legno tra le quali aveva nidificato una famiglia di rondini.
Le grondaie di ferro soffrivano la ruggine che da anni le tingeva di un rosso quasi purpureo e il muro che dava verso nord era segnato da piccole strisce di muffa verde di cui si sentiva l'odore.
A Marco piaceva quell'odore. Gli ricordava le sere passate a girovagare tra i marmi antichi di quella città così affollata di giorno quanto deserta di notte, quelle passate a scherzare con gli amici sotto un lampione balenante e una luna curiosa. Gli faceva affiorare alla mente l'aroma forte dei libri usati che era solito comprare nella bottega di mastro Gianni. Era pungente ma piacevole: ciò che aveva quell'odore aveva una storia da raccontare che lui poteva esplorare lasciandosi trasportare dai pensieri incomprensibili di un ragazzo ritenuto difficile.
Nelle ore di luce gli piaceva prestare attenzione anche all'odore della gente.
Molti sapevano di deodorante e bagno schiuma. Altri di sudore, chi di profumo, chi semplicemente di niente.
Ognuno contribuiva a riempire l'aria con le proprie parole: gli strani parlavano da soli, i ricchi all'auricolare, gli indaffarati al cellulare, gli amici chiacchieravano tra loro.
Nelle giornate di festa le persone gremivano la piazza e si spintonavano gentilmente e Marco non faceva altro che lasciarsi trasportare.
Amava quel posto. La sua gente, i suoi negozi, i suoi luoghi...
Non riusciva ad immaginare la propria vita in un luogo diverso.
Spesso pensava di essere pazzo ma riteneva di amare la propria città in modo più intenso di quanto era riuscito ad amare qualsiasi ragazza. Si sentiva ricambiato ma, soprattutto, sentiva di potersi fidare: lei non l'avrebbe mai tradito.
Lei, contro l'opinione di molti era viva, pulsane, pensante.
Scrutava da dietro i vetri di ogni finestra ornata di fiori o tende di pizzo con la distaccata attenzione di un'affascinante signora.
I tetti rossi di coppi seccati del vento erano capelli agghindati in una complicata acconciatura.
Le vie erano vene nelle quali scorreva indifferente la vita dei cittadini.
Erano vene datate, logorate, ma non stanche.
Pulsavano animate dai passi frettolosi della gente; pompata da un cuore grande e buono.
Nella piazza si risiedeva l'animo di quell'ammasso di marmi.
Era bella.
C'erano le opere di grandi artisti.
C'erano le risate dei bambini, gli abbracci delle coppie.
C'era un cuore di pietra che amava più di molti cuori umani.    

sabato 26 luglio 2014

Love Story #02 - Granelli di sabbia

"Ciao gente! Come previsto la seconda Love Story è arrivata con qualche giorno di ritardo ma eccoci qui. Ho voluto inserire questo testo in un'ambientazione marittima così da portare in vacanza anche chi quest'anno non è riuscito a vedere la sabbia. Vi preannuncio che i protagonisti di questo testo hanno diciotto anni, diversamente agli abituali 15-16. Spero che anche questo capitolo vi piaccia e vi auguro buona lettura mentre comincio a lavorare al terzo. Arrivederci :)"

- Vera! Basta bere! Non voglio passare la notte a tenerti i capelli mentre stai piegata sul water! - disse strappando il drink dalle mani della cugina
- Laura, ridammelo!
- Tieni Leo - disse Laura porgendo il bicchierino all'amico - noi torniamo altrimenti chissà cos'è capace di combinare questa pazza - gli sorrise trascinando Vera fuori dal locale.
- Io non voglio andare! È presto!
- Sono le due e mezza del mattino e tu sei completamente sbronza.
- Sembri mia madre! - Vera biascicava.
- Tua madre non sa camminare su questi tacchi, cugina! - rideva ad ogni parola, anche lei aveva bevuto parecchio.
-Taci che le ballerine di mia madre sono troppo sexy.
- Anche i suoi maglionicini a collo alto?
- Soprattutto quello con le renne di lana e gli alberi di Natale! - esclamò buttandosi in una versione alcolica di "I kissed a girl" che disturbò non poco gli ospiti dell'albergo.
Quando appoggiarono la testa sul cuscino quella notte erano completamente vestite, ancora truccate, tremendamente sbronze e incredibilmente divertite.

Laura maledisse la sveglia quattordici volte quella mattina prima di trovare la forza per allungare il braccio verso il comodino.
Mosse una gamba, poi l'altra costringendosi a scendere goffamente dal piano superiore del vecchio letto a castello. Atterrò in piedi scivolando e ritrovandosi con il viso al livello del pavimento.
Aveva un mal di testa terrificante e ricordava a malapena ciò che era successo la sera prima. Sicuramente era stata una bella serata.
Se lei era ridotta ad uno straccio Vera era messa sicuramente peggio. Aveva vomitato sul bordo del letto ed ora si contorceva mugolante con le braccia ciondolanti.
Laura barcollò fino in bagno evitando di guardarsi allo specchio.
Tolse il vestito e si infilò sotto la doccia.
Benedetta doccia!
Uscendo raccolse i capelli e infilò una magliettta preparandosi ad affronare il risveglio della cugina.
La tirò per le gambe consapevole che coccole e carezze poco avrebbero potuto contro il potere di sette drink.
Vera imprecò mentre veniva spogliata e trasportata di peso sotto la doccia.
Ma aprì gli occhi solo quando il getto gelido le attraversò la schiena.
- Laura Montichiari chiudi subito questo affare!
- Buongiorno - Laura sorrise girando la manopola per scaldare l'acqua.
Vera sbuffò contrariata prendendo il controllo delle proprie gambe per finire di lavarsi.

- Vera, ficca due cose nella borsa da spiaggia e andiamo a mangiare!
- Senti, ma dopo non torniamo su a prendere gli asciugamani?
- No, te li porti via adesso perchè dopo dobbiamo sparire in spiaggia senza farci vedere dallo zio.
- Perchè?
- Perchè ti farà leccare via il vomito dal copriletto se ti becca.
- Povera Rosa... Le toccherà darsi da fare per pulire questa camera... - disse Vera infilando la crema solare nella borsa.
- Ringrazia che è nostra amica, altrimenti avremmo dovuto rifarci il letto tutte le mattine da sole.
- A dire il vero essere le nipoti del gestore dell'albergo ha i suoi vantaggi.
- Che non serviranno a niente se arriveremo tardi a colazione. Non ho alcuna intenzione di mangiare gli avanzi.
- Guarda che di solito sei tu l'ultima.
- Ti sbrighi? -  Laura si infilò in ascensore tirando la cugina per il braccio.

- Corri, corri! Dai Vera che non ti vede - gridò Laura dando indicazioni mentre osservava i movimenti dello zio.
- Non è stato poi così difficile... Dai! - bisbigliò Vera scivolandole a fianco.
- Spero solo che non si arrabbi troppo quando torneremo. Le due si incamminarono verso il bagno 53.
- La camera non è messa poi così male, non credo che sia la prima volta che qualcuno torna dopo una bella serata - disse Vera infilando una cuffietta - Pensa che bello! Siamo qui solo da un mese, ne abbiamo altri due di puro relax!
- Altri due mesi senza di lui...
- Laura, che agonia! Basta! Tutti i giorni la stessa storia! Se ti manca così tanto il moroso al tuo fianco trovatene un altro qua vicino. Hai diciotto anni, è questo il momento giusto per divertirsi!
- Tu non hai idea di cosa voglia dire essere innamorati... Gli sono andata dietro per un anno e adesso che è mio non intendo lasciarlo per qualche ora di divertimento in più!
- Bah, secondo me adesso ha qualche bella americana in braccio e se la stà ridendo con gli amici.
- Il fatto che sia in America non vuol dire che possa fare tutto quello che vuole! E comunque è partito da una settimana, non può aver già trovato qualche altra ragazza.
- Ha altri due mesi per trovarne una...-
- Sei pessima, Marco mi ama, non mi tradirebbe mai.
- Come vuoi, io non mi fiderei troppo - disse Vera concentrandosi sulla sua musica.
Passarono tutto il giorno in spiaggia tra amici, partite di calcetto e di beach-volley, bagni e tanto sole.
Lo zio non fu troppo severo: si concluse con il divieto di frequentare discoteche per cinque giorni.
Quella sera avrebbero potuto fare un giro con i loro amici ma, preferirono restare in albergo, vittime della stanchezza.
Erano sedute ad un tavolo all'aperto sgranocchiando patatine con dei giovani clienti spagnoli.
- Vera, io vado a riva - la cugina ammiccò conoscendo le abitudini di Laura.
Lei si alzò e raggiunse la spiaggia.
Slacciò le scarpe e le abbandonò vicino alla cabina 34 insieme alla borsa.
Percorse lentamente la passerella bianca e affondò i piedi nella sabbia fresca scurita dall'acqua.
Avanzò fino a sentire il mare accarezzare le caviglie.
Osservò il sole, una moneta incandescente che si immergeva piano in quella distesa luccicante e scura che aveva davanti, facendo arrossire le onde e le nuvole e reinventando con tinte pastello i colori del cielo. Guardava lontano, quella linea distante e precisa che separava il blu intenso della volta celeste da quello ancora più scuro delle acque limpide del mare.
Poi studiava i mille piccoli granelli bianchi che le ricoprivano i piedi e la leggera schiuma che coronava le onde gentili.
Ripensava a quello che le aveva detto Vera, aveva scacciato il pensiero troppo in fretta quella mattina. Forse Marco non l'amava veramente, forse voleva solo un passatempo per riempire le sue giornate, forse aveva davvero una bionda sulle ginocchia mentre lei era lì a pensarlo.
Non poteva saperlo, doveva fidarsi.
Si strinse nelle spalle minute ascoltando il mare.
- Pensi che tuo zio abbia un letto in più, principessa?- Laura si voltò di scatto senza trovare la forza per rispondere ma solo per abbracciarlo fino a togliergli il respiro - Anche in America i tramonti erano belli ma senza di te non li vedevo.

martedì 15 luglio 2014

Love Story #01 - Nimo

"Ciao gente! Ecco, come promesso, il primo testo della rubrica Love Story. Ci ho perso un bel po' di tempo quindi spero di aver fatto un buon lavoro. Vi avverto che, probabilmente, ritarderò con la pubblicazione del secondo testo perché sarò al mare :D, comunque farò il possibile. Buona lettura"

Laura infilò le cuffie ed alzò al massimo il volume della musica come tutti i pomeriggi.
Si sedeva in braccio alla grande quercia in un angolo sperduto del parco, tra l'intreccio delle sue radici, ed aspettava impaziente che la ricreazione del dopo pranzo terminasse.
Tutti i giorni dall'una e un quarto alla due soffriva quell'ansia che solo chi è senza amici, chi è escluso e deriso, può comprendere.
Si sentiva sola e vuota, abbandonata.
Si guardava attorno con lo stesso sguardo della formica mentre attende impotente che il dito che sta per schiacciarla completi la sua missione.
Solo che quel dito non calava mai su di lei lasciandola in preda al terrore, rannicchiata tra le lunghe braccia della sua quercia.
Si sentiva così  da quando Tara, la sua migliore amica, aveva deciso di abbandonarla per provare ad entrare nel gruppo "in" dell'istituto.
Ma si era ritrovata sola anche lei e per di più derisa, incapace di trovare il coraggio per andare a scusarsi con l'amica o quello per ribellarsi a chi i che le stava facendo del male.
Entrambe rimpiangevano l'amicizia perduta ma, erano troppo orgogliose per ammetterlo.
Laura aveva pensato che con l'inizio del liceo sarebbe finita quella situazione, che avrebbe trovato persone migliori, mature, in grado di capirla ed apprezzarla ma, purtroppo, avevano solo più arroganza.
Dopo aver perso Tara aveva voltato pagina ma non era riuscita a farsi nuovi amici: l'unica dalla quale non ricevette delusioni fu la musica, nella quale si gettò a capofitto per affogare la sua solitudine.
C'era una persona, però, che aveva ancora il potere di distrarla: Marco.
Non si erano mai parlati ma lui era il solo che le sorrideva quando le passava vicino , il solo che la guardava senza snobbarla.
Non era il più bello della scuola ma per lei era semplicemente il massimo. Non aveva stormi di ragazze ai suoi piedi e Laura si chiedeva cosa avessero le altre al posto degli occhi per non notare uno come lui. Non vestiva alla moda ma, inutile dirlo, secondo lei non avrebbe potuto avere uno stile migliore.
Era simpatico, solare, spontaneo e il suo sguardo veniva prima delle sinfonie tra le cose che salvavano Laura dalla sua realtà.
Quel giorno lui arrivò facendo crepitare la ghiaia sotto le scarpe, rallentò quando la vide per rivolgerle uno di quei suoi sorrisi che però, durò, come al solito, un solo istante.
Lei continuò a fissarlo mentre lui, con il cellulare in mano, raggiungeva i suoi amici in fondo al parco.
La distrasse la suoneria del cellulare. Era l'anonimo che aveva preso a scriverle tutti i giorni da qualche tempo.
Lo chiamava Nimo, il personaggio ignoto al quale si rivolgeva quando aveva bisogno di quell'aiuto che neanche le note le sapevano dare. Nimo, abbreviazione di Anonimo, il suo dolce mistero, quello che dava alla sua vita quel tocco magico che aveva tanto cercato.
-E oggi come stai, principessa?
-Ciao Nimo! Come vuoi che stia? Come tutti i giorni: al freddo, con le cuffie alle orecchie e da sola.
-Nooooo, così mi deludi... Non ti scrivo tutti i giorni per farti sentire sola, nocciolina.
-Non mi sentirei così se adesso tu fossi qui con me.
-Arriverò prima di quanto credi ;)
-E mi dirai finalmente come ti chiami?
-Lo capirai da sola...
-Ti piace essere misterioso, vero?
-Non si era capito?
-Sei incorreggibile...
-Ora vado, ho deciso di fare quella cosa importante...
-Andrai finalmente a conoscere la ragazza dei tuoi sogni?
-Già, ho il cuore in gola...
-Posso immaginare... Vai e conquistala! E dimmi come andrà.
-Sarai la prima a saperlo ;) A dopo.
Laura alzò la testa e inspirò profondamente l'aria di dicembre, quel profumo frizzante che tanto le piaceva.
-Cosa annusi?- Marco era seduto di fianco a lei e le puntava addosso i suoi stupendi occhi scuri.
-C-ciao- disse lei arrossendo di colpo accentuando l'effetto che il freddo aveva sulla sua pelle. - A-annuso l'aria... D'inverno ha un buon odore.
-Non sapevo soffrissi di balbuzie- rispose lui accennando un sorriso.
Lei distolse lo sguardo posandolo su due foglie che si rincorrevano animate dal vento.
-Non soffro di balbuzie è solo che non mi aspettavo che saresti venuto a parlarmi- cercò di ricomporsi. Stoppò la musica e lo guardò negli occhi.
-Pensavo di darti una mano con Tara, l'ho vista l'altro giorno che piangeva in corridoio e, a quanto pare, tu non sei messa molto meglio.
-In realtà no ma...
-Niente ma. So cos'è successo tra di voi e ormai è acqua passata... Perdonala, hai bisogno di un'amica quanto lei.
-Io avrei bisogno di un esercito di amici a dire la verità...
-Quelli arriveranno col tempo... Ma tu hai mai pensato di aprirti al mondo?
-Io ci ho provato un sacco di volte ma è il mondo che non mi fa entrare... Sono stanca di bussare.
-Non ci credo, una come te la vorrebbe un sacco di gente...
-Ad esempio?
-Ad esempio io.- A Laura mancava il fiato.
-Se sapessi come sono davvero non mi vorresti più così tanto...
-E cosa avresti di così mostruoso?
-Niente, ma sono diversa dalle altre ragazze.
-Cioè?
-Sono l'unica che legge poesie alla sera, o che legge in generale. Sono l'unica che annusa l'aria o che si sveglia presto per vedere l'alba, che ama farsi avvolgere da un caldo maglione di lana, che crea mondi dietro le piccole cose... Ah si, poi dovrebbero darmi un Golden Globe come migliore regista, scenografa e scrittrice di copioni dei miei film mentali.
-Non sei poi così strana sai? Laura Montichiari? Ne hai scritto uno su di me?
-Cosa?- "Molti più di quanti tu possa immaginare" pensò.
-Perché io scrivo canzoni, le scrivo pensando a te, magari potrebbero essere la tua colonna sonora.
Laura non capì più nulla... Le girava la testa e avrebbe potuto piangere di gioia.
Gli gettò le braccia al collo e si fece stringere forte.
Lui, con il naso immerso nella sua chioma corvina, quasi sussurrando disse- Così potrai smettere di chiamarmi Nimo, Principessa.

lunedì 14 luglio 2014

Profumavi di biscotti

"Come promesso, ecco a voi Profumavi di biscotti. Spero vi piaccia. I vostri consigli sono sempre ben accetti quindi, se dovete dirmi qualcosa, potete scrivermelo nei commenti qua sotto :D. Volevo inoltre informarvi del fatto che ho intenzione di aprire una rubrica settimanale: le Love Story. Si tratterà di pezzi piuttosto lunghi ed auto conclusivi che racconteranno i primi amori di vari ragazzi. Ne posterò una alla settimana fino alla fine dell'estate. La prima sarà quella di domani. Ciao gente :)

Profumavi di biscotti.
Sotto l'essenza fresca e sexy che ti spruzzavi sul collo tutte le mattine si percepiva l'aroma dolce e morbido dei biscotti al miele.
Mi sono innamorato di quello il primo giorno che ti ho vista.
Hai attraversato la strada venendo verso di me con le tue amiche attaccate ai fianchi e, insieme a loro, regalavi risata sincere a quel tardo pomeriggio.
Credevo che ci avreste superati e, invece, eravate voi quelle che Leo ci doveva presentare.
Credevo di sognare. Ti sei fermata di fronte a me e hai cominciato a squadrarmi con qui tuoi occhioni malinconici, quel tuo sguardo da cerbiatta.
Mi sono innamorato di te. Di tutto quello che ti riguardava, della tenerezza dei tuoi lineamenti, della morbidezza dell e tue labbra, dei tuoi capelli color cioccolato. Ma soprattutto di quello che non avevo mai trovato in nessun altra ragazza. Eri spontanea, estroversa, eri capace di mettermi a mio agio nonostante le migliaia di farfalle che mi vorticavano dentro. Ridevi solo se ce n'era motivo, riuscivi a seguire i miei discorsi sconsiderati, eri la pazzia fatta a persona ma anche il tassello mancante nella mia vita.
Chiederti di uscire fu tremendo ma quando mi dicesti di si non trovai parole per descrivere ciò che provavo. Eri una ragazza preziosa e sfuggevole ma corteggiarti era come volare in aereo: era fantastico.
I tuoi baci, però, erano sicuramente meglio. Trasformavi le giornate no in angoli di paradiso.
Quando sapevo che dovevamo vederci non facevo altro che pensare a quella panchina in riva al fiume e a noi; me, te e il sole che ci carezzava la pelle.
Quando ti stingevo tra le braccia mi sembrava che il tempo si fermasse.
Ma il tempo è invidioso della felicità della gente e ha continuato a correre complice di un destino che avrei voluto cancellare.
Ti aspettavo quel venerdì. Ti avrei portata in giro per la città con il mio motorino nuovo. Ti avrei fatto indossare il casco su cui avevo fatto incidere i nostri nomi per i nostri quattro mesi insieme.
Dopo avermi visto hai fatto piano le scale del portico, senza sorridere.
Mi sei arrivata davanti e, graffiandoti le mai una con l'altra, hai pronunciato le sole parole che anche la tua voce non ha saputo rendere migliori:
-E' finita. Non ti amo più quindi non insistere, sono venuta solo per dirti addio.- hai posato le tue labbra sulle mie  e sei sparita, eclissata dalla curva. Mi hai lasciato inchiodato al pavimento di porfido, svuotato, senza neanche la forza per correrti dietro con il tuo profumo di biscotti a torturarmi la bocca.

giovedì 10 luglio 2014

Eri tutto ma tutto passa

"Ciao a tutti! Questo testo risale a circa metà febbraio e ho pensato fosse carino postarlo dopo averlo un po' rivisitato. Spero vi piacerà ;-) La prossima settimana, prima di partire per il mare (finalmente :D) posterò il triste racconto di un SenzaVolto appena dopo essere stato lasciato. Ciao a tutti e buona lettura!)

Il vestito nero la stritolava in una morsa sudata e appiccicosa, il trucco le era colato sul viso marcandole le occhiaie ed i capelli le ricadevano stanchi sulle spalle profumate. Laura aveva ballato tutta la sera e quella stanza stava diventando sempre più piccola, la musica sempre più assordante e il mix di alcool che aveva buttato giù le dava la nausea. Le dolevano i piedi... Si avvicinò alla finestra barcollando sui tacchi alti e appoggiò la mano sul vetro freddo vedendo allargarsi attorno alle sue dita la condensa bianca tipica delle notti invernali. Il mondo attraverso la lastra di vetro antico era danzante, indeciso, giocava imitando l'aria d'estate. Laura fissò il cielo nero cercando quella luna timorosa che si nascondeva dietro alle nubi.
-Vieni fuori. Vieni fuori. Ci sto facendo la figura della povera pazza, vieni fuori! Non può essere tutto così uguale a quella sera...- Rivolgeva queste parole all'astro lontano troppo distratto per darle attenzione.
Stesso vestito, stessa musica e stessa luna paurosa la notte in cui si conobbero. Lei era stanca di ballare e di farsi toccare da ragazzi che non conosceva, lui non ne poteva più di baciare ragazze che il giorno dopo avrebbe dimenticato. Si ritrovarono davanti alla stessa finestra a fuggire da quella realtà che li aveva storditi.
Trovarono salvezza, trovarono amore.
La loro relazione durò esattamente undici mesi e dodici giorni e la gente aveva cominciato molto prima a chiedersi chi avrebbe ceduto per primo.
Cedette lui, baciando la migliore amica di Laura davanti al portone della scuola. Lei stava uscendo dall'ultima lezione. Li perse entrami nel momento in cui li vide e perse anche una parte di se.
Ora guardava la luce arancione dei lampioni che illuminavano il vicolo, le nuvolette di condensa che emettevano i rari passanti e quella che si allargava sempre più tra le sue dita. Di colpo la luna si liberò del suo rifugio di tenebre illuminandole i volto. Non era più la stesa sera.
-Eri tutto ma tutto passa- sussurrò, tornando a ballare.

sabato 5 luglio 2014

Non sono una miss

"Ciao a tutti! Finalmente sono finiti gli esami e posso godermi un po' di riposo :D Stranamente di recente mi vengono in mente i testi più carini alle unici e mezza di sera, quando mia mamma fa irruzione in camera mia per intimarmi di andare a letto... Così ho perso circa tre scritti mangiati dalla notte (o dalle lenzuola del mio letto). Questo sono riuscita a salvarlo in tempo :D Credo sarà una delle pochissime volte che sentirete parlare Laura in prima persona. Fatemi sapere cosa ne pensate." 

Non sono mai stata una miss...
Non ero "miss gambe lunghe", non ero "miss labbra di fuoco", ne "miss sguardo di fata"... Forse, per qualcuno, potevo essere "miss capelli di seta" ma c'erano sicuramente decine di ragazze con i capelli più morbidi dei miei... Non eccellevo per simpatia né per bellezza, non ero troppo popolare e non vestivo alla moda. Ero brava in molte cose ma in nessuna ero il massimo.
L'unica cosa della quale avrei avuto il coraggio di vantarmi erano le mie poesie. Sapevo dar voce ai sentimenti più astratti accostando poche parole, ero capace di descrivere un paesaggio con tre versi, scrivevo struggenti righe d'amore... Ma a chi volete che interessasse del mio futuro da poetessa maledetta?
Non ero male neanche a recitare ma questo non era che un altro punto a mio sfavore perché, nella testa dei miei conoscenti di allora, saper recitare bene voleva dire saper mentire ancora meglio. Era per questo che non avevo troppe amiche né avevo un ragazzo.
Pensavo a tutto questo una sera d'estate, appoggiata alla ringhiera di un balcone, dopo aver ballato senza sosta per ore imbucata ad una festa. Dietro avevo le luci stroboscopiche che disegnavano sulle pareti della casa di fronte disegni colorati e scomposti. Davanti avevo un cielo nero come non ne avevo mai visti illuminato da timide stelle.
-Ti sbagli.- Marco appoggiò le braccia al parapetto e prese a fissare le luci della città
-Cosa?-
-So a cosa stai pensando, e ti sbagli-
-Come no! Dimmi qualcosa di interessante che mi riguardi, qualcosa che facesse innamorare di me-
-Tutto. La tua risata, il tuo corpo snello, il tuo modo di ballare, la tua lealtà nei confronti degli amici, il tuo modo di scrivere, il tuo recitare da stella del cinema, la tua capacità di rialzarti da sola qualsiasi cosa ti accada...
-Sono cose che non servono a farti accettare... Vorrei essere come loro, come quelle ragazze che dettano legge solo con un cenno, che hanno un seguito di ragazzi bellissimi e che passano le serate in discoteca...
-Dimenticali. Dimenticali tutti. Concentrati su te stessa, smettila di pensare agli altri. Devi solo trovare la compagnia giusta, le persone che ti somigliano sono rare ma esistono... Abbi pazienza.- Marco mi fissava negli occhi arricciandomi una ciocca di capelli.
-Ma...
-Dimenticali...- non mi ero mai accorta di quanto mi piacesse stargli accanto e sentire la sua voce. Grazie a lui mi era passata l'ansia, non ricordavo neanche perché fossi preoccupata. In quel momento c'eravamo solo io e lui avvolti dal nero di una notte tranquilla.
Mi prese il viso tra le mani e appoggiò le labbra sulle mie.
Ecco, il mio principe azzurro senza corona era venuto a salvarmi e non mi avrebbe più lasciata sola...
Non ero diventata una miss, ero una principessa.

venerdì 13 giugno 2014

Buio

Si guardò intorno. La stanza intorno a lei era buia.  Vedeva stralci di cose comuni sogghignanti da dietro le ombre. 
Era seduta sul letto, la schiena appoggiata ai cuscini dello schienale e le gambe strette al petto. 
Dondolava… 
Le sembrava di essersi persa in un mondo non suo, oscuro e dimenticato che non assomigliava per nulla a ciò che aveva sempre vissuto… Non le erano mai piaciuti i gemelli cattivi delle cose che conosceva. Quella situazione la faceva sentire persa, tradita… Le strisce di luce che provenivano dalla finestra semi oscurata sembravano essere la droga che avvelenava ciò che la circondava… Di giorno in quella stanza era tutto perfetto: le tende ricamate, l’armadio verde limone, la scrivania pulita… Alle nove di sera tutto questo spariva. Il mondo di cui si fidava scivolava via inghiottendo una pozione sinistra, sfoderando piccoli occhietti gialli e risate ringhianti… Stava male, era confusa, stanca, la sua vita non funzionava come voleva lei: si sentiva come un orologiaio davanti ad un orologio da riparare. Con la lente davanti agli occhi cercava di scovare l’ingranaggio rotto eppure non lo trovava, il suo orologio era perfetto. Pulito, lucido, ordinato, curato… Allora cosa c’era che non andava? Se lo chiedeva da giorni… 
La sua vita era anche una mela: bella, rossa, matura, soda, lucida e appena tagliata rivelava un cuore marcio… Solo che lei non riusciva a tagliare la mela per togliere quel marcio che intanto continuava a darle ansia… Questa situazione l’opprimeva… Si era svegliata per questo quella notte di marzo e si era guardata intorno come estranea a ciò che la circondava… In fondo però tutto questo le piaceva: alla fin fine la mela era bella, l’orologio era pulito… stette li ancora un po’ a fissare con aria di sfida quelle cose che l’avevano tradita.

Laura, Marco e i SenzaVolto

Ciao a tutti,
ho deciso di rielaborare e postare alcuni testi che ho scritto quest' inverno e che sono il risultato dei miei sfoghi da ragazza pazza. In tutti questi scritti molti personaggi  non hanno nome e sono quindi soprannominati da me i "SenzaVolto". In altri quelli femminili prendono il nome di "Laura" e le poche presenze maschili si chiamano "Marco". Lo so, sembrerà una pazzia ma, d'altronde io sono la svitata per eccellenza e, comunque, come in tutto ciò che faccio, anche in questo c'è un senso. Come al solito è un ragionamento arruffato e complesso se non per quelli che si ritrovano con una mente simile alla mia, cosa che non auguro a nessuno :-p
In ogni caso ho deciso di provare a spiegarvi il significato di questa scelta e, se mi va bene, magari riesco a farvelo capire.
Dunque. Tutte le "Laura" non sono la stessa persona. Non troverete mai lo stesso personaggio in due testi differenti. Ognuna ha la sua storia, la sua realtà, le sue preoccupazioni e il suo carattere. Hanno fisionomia e gusti diversi. Si potrebbe dire che per ogni "Laura" esista un pianeta a sé stante o almeno una città così da poterle davvero distinguere.
Ma hanno la stessa anima, lo stesso scopo. Sono nate dagli sfoghi di un'adolescente alla ricerca di un modo silenzioso per fissare i propri pensieri in modo permanente, di dar loro un senso e una forma. Quindi, seppur in realtà distanti, ho creato personaggi che riflettono i miei pensieri. Essi sono complicati e, a volte, insensati ma pur sempre frutto di una stessa mente e quindi non poi così diversi tra loro. Lo stesso discorso vale per "Marco".

Se avete dubbi su altre cose riguardanti il contenuto del blog lasciate un commentino qua sotto, sarò felice di rispondervi ;)
 E adesso vi lascio in compagnia di una "SenzaVolto" in preda ad un periodo difficile.
Ciao e buona lettura :*

mercoledì 11 giugno 2014

Jeans e reggiseno

Sono tornata dopo mesi di assenza (come al solito) ma ecco il frutto del mio impegno nello studio per gli esami di stato: ore passate davanti al computer invece che sui libri e sere che finiscono alle undici per finire di leggere quelle pagine. Penso che siano in combutta contro di me! Sono tante e fanno di tutto per essere incomprensibili! Così sfogo la mia frustrazione, accompagnata dall'assoluta certezza di essere la persona più tremenda che abbia mai camminato sul suolo terrestre, rigettando migliaia di parole nel computer... E sperando di essere miracolata ;)

I raggi screziati di un tardo pomeriggio di giugno bruciavano il piccolo muretto a secco aggrappato alla collina. Le rondini misuravano le distanze tra le nuvole e la città mandando fischi distanti. La linea dell’orizzonte, irregolare e scura si era tinta di rosso, mentre in alto l’azzurro guardava le nubi rincorrersi tra loro sospinte dalla brezza. La città sembrava essersi fermata. I suoi rumori si erano spenti, zittiti dalla distanza. I suoi colori gioiosi si erano fusi in un ammasso grigiastro che si estendeva fin dove l’occhio riusciva a puntare. Nell'aria vagava il profumo delle fragole sospeso nelle trame del vento gentile che carezzava le fronde protese dei giovani gelsi. L’erba ingiallita dal sole ma verde dell’ultima pioggia mormorava raccontando ai maggiolini storie di avventure passate. Issata sul tufo sbriciolato dal caldo una ragazza fissava un punto indistinto e lontano, al di là dei voli delle rondini e dell’orizzonte.  Aveva i piedi nudi e la schiena scoperta. Indossava un paio di  jeans, lunghi, rimboccati sulle caviglie sottili ed un reggiseno nero.  Non aveva avuto tempo ne modo di infilare una maglia. Quel pomeriggio si stava cambiando per andare ad una festa. Aveva pensato agli abiti, ai ragazzi che di lì a poco avrebbe conosciuto, alle bibite e alla trasgressione che si sarebbe scatenata nel locale. Aveva infilato i suoi pantaloni preferiti e il top che le piaceva. Poi era caduta sul pavimento freddo vittima di un dolore indescrivibile. Aveva urlato e pianto mentre la sua schiena si squarciava e, ad una ad una, le tenere piume uscivano dalla sue carne. Si era alzata a fatica portandosi davanti allo specchio. Due grandi ali, forti e candide erano abbandonate alle sue spalle. Persa, si era sentita persa e sola. Tutt’a un tratto estranea al mondo che la circondava e terribilmente impotente. Cercava una soluzione, una dannata soluzione capace di risolvere l’impossibile. Ma più la cercava più la disperazione saliva a chiuderle la gola. Sua madre era al piano di sotto che lavava i piatti. L’avrebbe creduta un mostro, suo fratello, malgrado i suoi diciannove anni sarebbe svenuto dallo spavento e le sue amiche, dall'altro capo di un cellulare, l’avrebbero presa per pazza. Urlò, frustata e distrutta. Scarabocchiò un addio sul muro e, accanto alla scritta in pennarello, abbandonò un piccola piuma. Poi spalancò la finestra e picchiò verso il parcheggio sottostante planando a pochi centimetri dall'asfalto. Le venne in mente la collina, l’unico luogo solitario e dimenticato dell’intera città.

Ora, abbandonata sul muricciolo rovente cercava conforto nell'infinità del cielo che, nella tristezza, l’aveva sempre aiutata  a tirare avanti. I capelli scuri ondeggiavano incerti sulle grandi ali bianche abbandonate e stanche alle sue spalle. Aveva gli occhi lucidi. In quelle pupille dilatate si leggeva paura e tristezza, smarrimento. Chiedeva risposte alle quali nessuno poteva rispondere. Ripensava a ciò che, all'improvviso, aveva perso. Gli amici, i familiari, l’estate, le serate al mare, i fuochi  sulla spiaggia… Voleva tornare nella sua stanza, finire di vestirsi e farsi accompagnare da sua madre alla serata che tanto aveva atteso. Voleva salutare il suo migliore amico, ballare in mezzo alla gente, incontrare qualcuno che le rubasse il cuore. In quel momento la sua vita stava funzionando davvero dopo un’Odissea di eventi che avrebbe volentieri dimenticato. Ci era voluto del tempo ma era finalmente riuscita a riassemblare i pezzi della sua vita complicata e a sorridere di nuovo. Aveva combattuto contro lo sfinimento, l’angoscia, i tradimenti, le delusioni, i sentimenti e aveva vinto. Ma contro l’impossibile non poteva combattere. Cominciò a lottare contro se stessa, pregando la sua mente di smetterla di pensare a ciò che aveva perso, di guardare verso il futuro, ma no. Quella si ostinava a volerla angosciare. Laura guardò il cielo ormai spento davanti a sé. Si alzò sul muro a secco e dispiegò le possenti ali. Disse addio al mondo che aveva conosciuto e alla vita che aveva vissuto e si costrinse a pensare al meglio. Vide solo una cosa: ciò che aveva sempre voluto. Liberà. Poteva volare, gridare, essere finalmente la vera se stessa che per anni aveva atteso. Avrebbe guardato chi l’aveva fatta soffrire planando sotto i suoi occhi e ridendo insieme alle rondini. Signora del cielo esiliata da un posto grigio e monotono chiamato Terra. Troppo vera e fragile per la malvagità dei suoi abitanti, salvata dallo spirito dell’aria. Finalmente parte di quell'infinito che, per tanto tempo, aveva desiderato. Rivolse un ultimo sguardo al passato ormai lontano e si tuffò gridando nella notte giovane e adorna di stelle. 

lunedì 10 febbraio 2014

Caporetto, 23 ottobre 1917

Caro Diario,
mi chiamo Guglielmo Rossi e sono un soldato di 22 anni.
Sento il bisogno di scrivere, di raccontare a qualcuno la mia storia perchè qui, nelle trincee, tutte le esperienze sono diverse, eppure troppo simili per essere interessanti.
Ascoltata una le hai ascoltate tutte, dicono.
La mia non è uguale alle altre e merita di essere ricordata. Quindi, adesso sono qui, con il braccio
fasciato per una ferita riportata ieri, con il sedere affondato nel fango della trincea ed il terrore che, più forte del freddo, ci opprime gli animi, a lasciare una testimonianza che spero rimanga di ciò che è stata la mia vita.
Sono nato nel 1895 da una famiglia borghese di Milano.
Quando avevo 3 anni ci siamo trasferiti a Parigi e come era bella la vita la!
Ricordo ancora i vestiti di mia madre, i suoi grandi cappelli con la retina che le nascondeva gli occhi e i fiocchi sulla gonna, i pizzi delicati che le adornavano il busto e, la leggerezza dei suoi passi quando vorticava tra le braccia di mio padre mentre si lasciavano andare alle note del valzer, tanto in voga a Vienna.
Proprio ad uno di quei balli conobbi la mia amata Roseline.
Ripenso spesso ai suoi occhi castani, alla sua pelle morbida e bianca, al profumo dei suoi capelli dorati.
Ripenso anche a mio padre, con lui andavamo a fare lunghe passeggiate sulla Senna, lui con il bastone e le scarpe lucide ed io che gli trotterellavo al fianco cercando di seguire i suoi intricati discorsi sulla politica. E furono proprio quei discorsi a spingermi verso i salotti quando, nel 1912, tornammo a Milano. Si discuteva dell'Italia, di quanto fosse arretrata, povera, stanca. Ma fu dopo l'attentato di Sarajevo, nel 1914, che le discussioni infuocarono ed io cominciai a pensare a quello che sarebbe successo.
Avevo indovinato ogni evento a partire dalla dichiarazione di guerra che l'Austria fece alla Serbia pochi mesi dopo l'omicidio. Dicevo che non aveva senso che l'Italia fosse alleata dell'Austria quando questa aveva ancora Trento e Trieste dentro i propri confini.
Abbracciai l'ideale interventista, ero abbonato al Popolo d'Italia e disprezzavo i Neutralisti perchè non ero cosciente di quanto  l'Italia fosse impreparata ad affrontare una guerra. Non capivo perchè il governo aspettasse così tanto a scendere in campo e, quando ci fu la dichiarazione, corsi ad arruolarmi come volontario.
Finalmente potevo far valere i miei ideali! Non avevo il minimo pensiero su quanto poteva succedermi al fronte. Il mio reggimento intraprese diverse battaglie e subito non capivo perchè tutti fossero così amareggiati: andavano a morire per una buona causa! Quale buona causa?! Lo capii solo dopo; quando i miei compagni erano ormai stanchi di ripetermelo. Stavo guardando il mondo con gli occhi di un bambino! Perfino un cieco avrebbe capito che il nostro materiale bellico era scarso e il cibo era avariato, che stavamo combattendo una guerra non nostra. Cosa c'entravano i contadini, gli artigiani, gli allevatori con tutto questo? Loro faticavano a tirare avanti già prima del 1915, l'ultima cosa di cui avevano bisogno era una guerra e di sicuro non erano un granchè interessati a riavere Trento e Trieste. Lo vidi negli occhi di Alberto, un contadino veronese diventato mio amico, mentre si spegnevano dopo che il suo cuore aveva mangiato un proiettile nemico. Il suo ultimo sguardo fu per il cielo, quel cielo di cui parlava sempre per tirasi su il morale; di come era bello il tramonto nelle sue sfumature di rosso, all'alba quando l'accoglieva con un roseo orizzonte, e, di quanta felicità portava quando le nuvole promettevano pioggia durante un periodo particolarmente secco. Ma quel giorno il cielo era grigio e dall'azzurro dei suoi occhi scese una sola goccia di una pioggia salata destinata ad arrugginirgli per sempre la guancia. Il giorno dopo ci fu un ammutinamento, aderimmo tutti e nessuno parlò quando il generale Cadorna ci intimò di dirgli il nome dell'artefice. Se ne andarono in 8 per quella sparatoria a decima e io scampai per un pelo la fucilazione: il numero dieci era il ragazzo accanto a me.
Ora devo lasciarti: tra poco sarà buio ma, non ti saluto con un "arrivederci", userò un "addio" perchè sento nel cuore che domani ci sarà una battaglia alla quale non avrò la fortuna di sopravvivere.

                                                                               Addio, Guglielmo