mercoledì 11 giugno 2014

Jeans e reggiseno

Sono tornata dopo mesi di assenza (come al solito) ma ecco il frutto del mio impegno nello studio per gli esami di stato: ore passate davanti al computer invece che sui libri e sere che finiscono alle undici per finire di leggere quelle pagine. Penso che siano in combutta contro di me! Sono tante e fanno di tutto per essere incomprensibili! Così sfogo la mia frustrazione, accompagnata dall'assoluta certezza di essere la persona più tremenda che abbia mai camminato sul suolo terrestre, rigettando migliaia di parole nel computer... E sperando di essere miracolata ;)

I raggi screziati di un tardo pomeriggio di giugno bruciavano il piccolo muretto a secco aggrappato alla collina. Le rondini misuravano le distanze tra le nuvole e la città mandando fischi distanti. La linea dell’orizzonte, irregolare e scura si era tinta di rosso, mentre in alto l’azzurro guardava le nubi rincorrersi tra loro sospinte dalla brezza. La città sembrava essersi fermata. I suoi rumori si erano spenti, zittiti dalla distanza. I suoi colori gioiosi si erano fusi in un ammasso grigiastro che si estendeva fin dove l’occhio riusciva a puntare. Nell'aria vagava il profumo delle fragole sospeso nelle trame del vento gentile che carezzava le fronde protese dei giovani gelsi. L’erba ingiallita dal sole ma verde dell’ultima pioggia mormorava raccontando ai maggiolini storie di avventure passate. Issata sul tufo sbriciolato dal caldo una ragazza fissava un punto indistinto e lontano, al di là dei voli delle rondini e dell’orizzonte.  Aveva i piedi nudi e la schiena scoperta. Indossava un paio di  jeans, lunghi, rimboccati sulle caviglie sottili ed un reggiseno nero.  Non aveva avuto tempo ne modo di infilare una maglia. Quel pomeriggio si stava cambiando per andare ad una festa. Aveva pensato agli abiti, ai ragazzi che di lì a poco avrebbe conosciuto, alle bibite e alla trasgressione che si sarebbe scatenata nel locale. Aveva infilato i suoi pantaloni preferiti e il top che le piaceva. Poi era caduta sul pavimento freddo vittima di un dolore indescrivibile. Aveva urlato e pianto mentre la sua schiena si squarciava e, ad una ad una, le tenere piume uscivano dalla sue carne. Si era alzata a fatica portandosi davanti allo specchio. Due grandi ali, forti e candide erano abbandonate alle sue spalle. Persa, si era sentita persa e sola. Tutt’a un tratto estranea al mondo che la circondava e terribilmente impotente. Cercava una soluzione, una dannata soluzione capace di risolvere l’impossibile. Ma più la cercava più la disperazione saliva a chiuderle la gola. Sua madre era al piano di sotto che lavava i piatti. L’avrebbe creduta un mostro, suo fratello, malgrado i suoi diciannove anni sarebbe svenuto dallo spavento e le sue amiche, dall'altro capo di un cellulare, l’avrebbero presa per pazza. Urlò, frustata e distrutta. Scarabocchiò un addio sul muro e, accanto alla scritta in pennarello, abbandonò un piccola piuma. Poi spalancò la finestra e picchiò verso il parcheggio sottostante planando a pochi centimetri dall'asfalto. Le venne in mente la collina, l’unico luogo solitario e dimenticato dell’intera città.

Ora, abbandonata sul muricciolo rovente cercava conforto nell'infinità del cielo che, nella tristezza, l’aveva sempre aiutata  a tirare avanti. I capelli scuri ondeggiavano incerti sulle grandi ali bianche abbandonate e stanche alle sue spalle. Aveva gli occhi lucidi. In quelle pupille dilatate si leggeva paura e tristezza, smarrimento. Chiedeva risposte alle quali nessuno poteva rispondere. Ripensava a ciò che, all'improvviso, aveva perso. Gli amici, i familiari, l’estate, le serate al mare, i fuochi  sulla spiaggia… Voleva tornare nella sua stanza, finire di vestirsi e farsi accompagnare da sua madre alla serata che tanto aveva atteso. Voleva salutare il suo migliore amico, ballare in mezzo alla gente, incontrare qualcuno che le rubasse il cuore. In quel momento la sua vita stava funzionando davvero dopo un’Odissea di eventi che avrebbe volentieri dimenticato. Ci era voluto del tempo ma era finalmente riuscita a riassemblare i pezzi della sua vita complicata e a sorridere di nuovo. Aveva combattuto contro lo sfinimento, l’angoscia, i tradimenti, le delusioni, i sentimenti e aveva vinto. Ma contro l’impossibile non poteva combattere. Cominciò a lottare contro se stessa, pregando la sua mente di smetterla di pensare a ciò che aveva perso, di guardare verso il futuro, ma no. Quella si ostinava a volerla angosciare. Laura guardò il cielo ormai spento davanti a sé. Si alzò sul muro a secco e dispiegò le possenti ali. Disse addio al mondo che aveva conosciuto e alla vita che aveva vissuto e si costrinse a pensare al meglio. Vide solo una cosa: ciò che aveva sempre voluto. Liberà. Poteva volare, gridare, essere finalmente la vera se stessa che per anni aveva atteso. Avrebbe guardato chi l’aveva fatta soffrire planando sotto i suoi occhi e ridendo insieme alle rondini. Signora del cielo esiliata da un posto grigio e monotono chiamato Terra. Troppo vera e fragile per la malvagità dei suoi abitanti, salvata dallo spirito dell’aria. Finalmente parte di quell'infinito che, per tanto tempo, aveva desiderato. Rivolse un ultimo sguardo al passato ormai lontano e si tuffò gridando nella notte giovane e adorna di stelle. 

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