"Ciao gente. A voi il quinto capitolo delle Love Story. Quella di questa volta è una relazione diversa dal solito che forse ha qualcosa in comune con Cuore di pietra. Come sempre spero che vi piaccia. Ci terrei a farvi notare che i libri citati nel testo esistono veramente e, se non avete nulla da leggere. ve li consiglio caldamente. Buona lettura"
Libri. Marco superò le porte scorrevoli all'ingresso della biblioteca.
Il pavimento di parquet scricchiolò sotto i suoi piedi. Non voleva studiare quella mattina.
L'estate non è la stagione dello studio, è la stagione degli amici.
Aveva pensato di chiamare Leonardo per fare un giro nei dintorni facendo credere alla madre di avere la testa tra le pagine.
Ma, neanche farlo apposta, il cellulare gli era scivolato dalle mani uscendo di casa e, rimbalzando, aveva raggiunto il pianerottolo del secondo piano.
Inutile dire che non ci fu verso di farlo funzionare.
Aveva sparato una decina di parolacce e imprecazioni infilandosi il cadavere del telefono in tasca.
Quindi niente Leonardo. O chiunque altro. E che senso avrebbe avuto andare in giro senza amici?
Non gli restava che entrare in quell'incubo che i nerd chiamavano biblioteca e cercare di mandare giù un paio di pagine per passare l'esame riparatorio di settembre.
Abbandonò lo zaino semi vuoto su una sedia e si afflosciò su quella a fianco imitando la cartella.
Sbuffò. Appoggiò la fronte al tavolo e aspettò che le nozioni di algebra gli entrassero magicamente in testa. Non aveva proprio voglia di studiare. Era l'unica cosa che avrebbe fatto quel giorno. Indirizzò non poche parolacce a sua madre che, quella mattina, l'aveva spinto fuori dalla porta gridando cosa aveva fatto per meritarsi un figlio simile.
Dopo un tempo che non seppe calcolare ma che di sicuro era di più di dieci minuti e meno di dieci ore alzò la testa e si guardò attorno. C'erano solo una quarantenne con il figlio di dieci anni e un uomo sulla settantina. Non poteva neanche sperare di rimorchiare...
Lanciò un'occhiata alla cartella che, anche così moscia e stropicciata, gli ringhiava con i suoi denti di zip.
Si alzò trascinandosi verso gli scaffali.
L'ultimo libro che aveva letto era stato Piccoli Brividi a nove anni. Tutto ciò che sapeva sulla lettura l'aveva imparato tra uno sbadiglio e l'altro durante le rare lezioni di antologia.
Si avvicinò alle mensole con circospezione, a distanza di sicurezza, come se quei volumi potessero allearsi con il suo zaino e saltargli al collo.
Passò davanti alle storie di ragazzi e ragazze. Odiava quel genere, tutti a raccontare i propri problemi...
Seguivano sette scomparti dedicati alle biografie. Ancora peggio, erano sempre scritte con un linguaggio noioso e antiquato.
Poi si passava ai racconti di fantasia. Detestabili, i loro scrittori erano quelli con meno fantasia di tutti. i romanzi erano tutti uguali: il cattivo vuole conquistare il mondo delle fate perché ha manie di potere e loro chiedono aiuto ai potenti maghi per sconfiggerlo... Letto uno li avevi letti tutti.
I miei primi libri. Figuriamoci... Al massimo avrebbe trovato "Gioco e imparo: i colori".
Libri in lingua: letali per i pochi coraggiosi che avevano l'ardire di leggerli. Davvero odiosissimi.
O forse era lui il caso perso? Effettivamente quei mucchietti di pagine non gli erano mai stati simpatici. Ci si teneva lontano come da una malattia mortale facilmente trasmissibile.
Tornando al tavolo passò davanti alla sezione fantascienza. Gli cadde l'occhio su una copertina bianca con una mano grigia e sbiadita nel mezzo. Al centro troneggiava in rosso la scritta Unwind: la divisione.
Era il primo ad incuriosirlo. Lo fece scivolare svogliatamente dal leggio dove era esposto e lesse la prima pagina poi la seconda e ancora la terza. Tornò al tavolo con gli occhi incollati alle pagine ingiallite senza alzarli neanche per spostare la sedia e sprofondarcisi maldestramente.
Quando richiuse il volume erano le quattro del pomeriggio. Non aveva neanche mangiato... Gli sembrava una follia eppure erano anni che non trovava niente del genere.
Tornò a mettere il libro sull'espositore e ne scelse un'altro dello stesso autore.
Everlost. Facendosi rapire dalle sue storie di fantasmi e mostri.
La bibliotecaria gli posò una mano sulla spalla.
-Ragazzo, sono le sette e mezza, la biblioteca chiude.-
-Ah, si, peccato.
-Guarda che puoi prenderlo in prestito il libro, eh.
-Fantastico- esclamò Marco alzandosi dalla sedia e barcollando stordito verso l'ufficio di prestito.
Uscì dalla biblioteca con il tomo stretto al petto e la cartella sulle spalle zittita da quell'avvenimento così
inusuale.
Camminava con un sorriso ebete sui quadretti di porfido della via, il cappello in testa e la canottiera larga. Con quelle pagine tra le mani sembrava quasi una contraddizione.
Si svegliò dal suo torpore solo quando sentì le voci dei suoi amici dietro di se.
Non l'avevano visto e facevano chiasso come al solito appropriandosi della strada.
Si eclissò nel primo vicolo che gli capitò a tiro lasciando che lo superassero... Aveva il respiro affannoso...
Sembrava così insensato... Eppure sarebbe bastato quel libro per escluderlo dal gruppo nel quale era entrato con così tanta fatica.
Pensò subito di tornare indietro a restituire il volume e chiuderla per sempre con quella storia assurda. Eppure le gambe si rifiutavano di portarlo fuori dal vicolo , le braccia di smettere di stringere la copertina lucida e anche lui si rifiutava. Gli era bastato un pomeriggio per innamorarsi della lettura e non aveva la forza per lasciarla.
Quelli che l'avrebbero giudicato solo perché leggeva non erano suoi amici. Quelli che avrebbero fatto così facilmente a meno di lui non meritavano quel nome.
Ma non poteva auto escludersi. Oltre a loro non aveva nessuno.
Gli ci vollero dieci minuti per raggiungere la fermata dell'autobus e venti per raggiungere casa. Trenta minuti che gli servirono per decidere che mosse fare.
Avrebbe continuato a recitare la parte del duro mentre di notte si sarebbe rifugiato tra le braccia delle sue cartacee amanti.
sabato 16 agosto 2014
domenica 10 agosto 2014
Love Story #04- Il 92
"Ciao gente! Eccoci qui con la quarta LoveStory. Come al solito spero che vi piaccia. Ci tenevo a precisare che la storia è puramente inventata, così come i nomi dei personaggi e il numero di telefono di Marco. Grazie e buona lettura"
Laura aveva sette anni quando incontrò Marco per la prima volta.
Era estate.
Lui aveva due anni più di lei.
Non andavano semplicemente d'accordo, non si volevano semplicemente bene, si piacevano e non poco.
Stavano sempre insieme, parlavano di tante cose, correvano cercando di prendersi nel grande parco della scuola dove frequentavano il centro estivo.
Poi arrivarono gli abbracci, i baci sulle guance. Arrivò l'invidia degli altri bambini.
Le prese in giro, le derisioni, le frecciatine... Marco decise di non venire più né quell'anno né quelli successivi.
Non si videro per tre anni.
Arrivò una nuova estate e l'ultimo anno di centro estivo. Si videro tra centinaia di ragazzi che lo frequentavano ma non si parlarono, troppo timidi e timorosi.
Laura saltò sull'autobus in partenza e si sedette nell'ultimo posto a destra, vicino al finestrino.
Doveva andare in città con i suoi amici. Infilò le cuffie e prese a guardare il mondo che scorreva tranquillo al suo fianco. Finalmente aveva finito gli esami di terza media, poteva rilassarsi prima di ripartire con il nuovo anno scolastico.
Il rombo del motore si attutì mentre il veicolo sostava alla prima fermata.
Laura girò pigramente la testa e osservò una decina di persone salire sull'autobus. C'era un viso familiare tra loro... Anche lui la fissava... Laura ebbe un tuffo al cuore mentre le sue labbra si schiudevano per regalargli un largo sorriso. Marco Prato. Non era possibile. Avrebbe scommesso che non lo avrebbe più rivisto e invece... Eccolo lì a farsi strada tra la gente per sedersi affianco a lei. Non era bellissimo. Era un ragazzo normale ma agli occhi della ragazza non avrebbe potuto essere più attraente.
Laura raccolse le idee e si impose di calmarsi.
-Hey! Guarda chi si vede! Ciao Laura, come va?-
-Bene dai, tu?
-Non c'è male...
-Quindi tu adesso devi andare in terza superiore, giusto?
-Esatto. E tu in prima, no?
-Già...
-Come ti sono andati gli esami?
-Alla grande! Soprattutto perché sono finiti!
-Già, capisco. Che liceo hai scelto?
-Classico... Si lo so, sono iscritta al suicidio ma, cosa vuoi, mi piacciono le sfide.- aggiunse Laura ammiccando. -E tu? Liceo?
-No, no, io ho optato per un tecnico... Il liceo non fa per me.
-E nel tempo libero fai qualche attività? Incalzò lei.
-Si, teatro. Faccio parte di una bellissima compagnia. E tu?
-Pure. Adoro recitare.- "Chiedigli il numero di telefono, avanti!" Si disse tra sé Laura.
-Ma dai! Bello! Esclamò lui.
-Già.- "Dai, stupida! O adesso o mai più, dai!"- Senti...-
-Scendi in stazione?
-No, tre fermate dopo.
-Ah... Peccato... Beh, io sono arrivato, ci vediamo.- Si alzò e l'abbracciò più forte del necessario. Laura si perse tra le sfumature del suo profumo. Marco si staccò da lei e scese.
"Stupida! Chissà quando lo rivedrai adesso!" la sua vocina interiore era furibonda.
Laura si rincantucciò sul suo seggiolino e attese che l'autobus ripartisse.
Erano passati due mesi e ad ogni fermata Marco sperava di rivederla. Perché non aveva trovato il coraggio di chiederle il numero di telefono!? Si sarebbe preso a schiaffi da solo.
Il 92 si fermò davanti a lui per farlo salire e lui si fece largo tra la gente per raggiungere l'unico, insperato posto libero vicino al finestrino in fondo a destra. Prese a guardare fuori: alberi, strada, auto, ristorante, alberi, pompa di benzina, auto, auto, motorino, camion, ferramenta, alberi, pedoni, autobus.
Notò il gesto di saluto che il conducente rivolse al collega passandogli davanti e una ragazza con il naso schiacciato contro la vetrata seduta nell'ultimo posto. Laura lo stava fissando e gli fece un cenno con la mano prima di superarlo.
Cavolo! Sì, l'aveva rivista ma era servito solo ad avere ancora più voglia di lei. Il destino li teneva lontani. Marco aprì lo zaino, frugò tra portachiavi, auricolari ingarbugliati, chiavi , soldi, fogli stropicciati, penne scariche e finalmente trovò l'indelebile nero che stava cercando. Si girò e, velocemente, scrisse: MARCO PRATO 339 27 563 12.
Poi scese ricacciando il pennarello nello zaino.
Due giorni dopo Laura salì sull'autobus 92 in via Garibaldi per tornare a casa e, avvicinandosi al solito seggiolino, intravide un nome, un numero. Sul suo viso si dipinse il suo sorriso più radioso.
Laura aveva sette anni quando incontrò Marco per la prima volta.
Era estate.
Lui aveva due anni più di lei.
Non andavano semplicemente d'accordo, non si volevano semplicemente bene, si piacevano e non poco.
Stavano sempre insieme, parlavano di tante cose, correvano cercando di prendersi nel grande parco della scuola dove frequentavano il centro estivo.
Poi arrivarono gli abbracci, i baci sulle guance. Arrivò l'invidia degli altri bambini.
Le prese in giro, le derisioni, le frecciatine... Marco decise di non venire più né quell'anno né quelli successivi.
Non si videro per tre anni.
Arrivò una nuova estate e l'ultimo anno di centro estivo. Si videro tra centinaia di ragazzi che lo frequentavano ma non si parlarono, troppo timidi e timorosi.
Laura saltò sull'autobus in partenza e si sedette nell'ultimo posto a destra, vicino al finestrino.
Doveva andare in città con i suoi amici. Infilò le cuffie e prese a guardare il mondo che scorreva tranquillo al suo fianco. Finalmente aveva finito gli esami di terza media, poteva rilassarsi prima di ripartire con il nuovo anno scolastico.
Il rombo del motore si attutì mentre il veicolo sostava alla prima fermata.
Laura girò pigramente la testa e osservò una decina di persone salire sull'autobus. C'era un viso familiare tra loro... Anche lui la fissava... Laura ebbe un tuffo al cuore mentre le sue labbra si schiudevano per regalargli un largo sorriso. Marco Prato. Non era possibile. Avrebbe scommesso che non lo avrebbe più rivisto e invece... Eccolo lì a farsi strada tra la gente per sedersi affianco a lei. Non era bellissimo. Era un ragazzo normale ma agli occhi della ragazza non avrebbe potuto essere più attraente.
Laura raccolse le idee e si impose di calmarsi.
-Hey! Guarda chi si vede! Ciao Laura, come va?-
-Bene dai, tu?
-Non c'è male...
-Quindi tu adesso devi andare in terza superiore, giusto?
-Esatto. E tu in prima, no?
-Già...
-Come ti sono andati gli esami?
-Alla grande! Soprattutto perché sono finiti!
-Già, capisco. Che liceo hai scelto?
-Classico... Si lo so, sono iscritta al suicidio ma, cosa vuoi, mi piacciono le sfide.- aggiunse Laura ammiccando. -E tu? Liceo?
-No, no, io ho optato per un tecnico... Il liceo non fa per me.
-E nel tempo libero fai qualche attività? Incalzò lei.
-Si, teatro. Faccio parte di una bellissima compagnia. E tu?
-Pure. Adoro recitare.- "Chiedigli il numero di telefono, avanti!" Si disse tra sé Laura.
-Ma dai! Bello! Esclamò lui.
-Già.- "Dai, stupida! O adesso o mai più, dai!"- Senti...-
-Scendi in stazione?
-No, tre fermate dopo.
-Ah... Peccato... Beh, io sono arrivato, ci vediamo.- Si alzò e l'abbracciò più forte del necessario. Laura si perse tra le sfumature del suo profumo. Marco si staccò da lei e scese.
"Stupida! Chissà quando lo rivedrai adesso!" la sua vocina interiore era furibonda.
Laura si rincantucciò sul suo seggiolino e attese che l'autobus ripartisse.
Erano passati due mesi e ad ogni fermata Marco sperava di rivederla. Perché non aveva trovato il coraggio di chiederle il numero di telefono!? Si sarebbe preso a schiaffi da solo.
Il 92 si fermò davanti a lui per farlo salire e lui si fece largo tra la gente per raggiungere l'unico, insperato posto libero vicino al finestrino in fondo a destra. Prese a guardare fuori: alberi, strada, auto, ristorante, alberi, pompa di benzina, auto, auto, motorino, camion, ferramenta, alberi, pedoni, autobus.
Notò il gesto di saluto che il conducente rivolse al collega passandogli davanti e una ragazza con il naso schiacciato contro la vetrata seduta nell'ultimo posto. Laura lo stava fissando e gli fece un cenno con la mano prima di superarlo.
Cavolo! Sì, l'aveva rivista ma era servito solo ad avere ancora più voglia di lei. Il destino li teneva lontani. Marco aprì lo zaino, frugò tra portachiavi, auricolari ingarbugliati, chiavi , soldi, fogli stropicciati, penne scariche e finalmente trovò l'indelebile nero che stava cercando. Si girò e, velocemente, scrisse: MARCO PRATO 339 27 563 12.
Poi scese ricacciando il pennarello nello zaino.
Due giorni dopo Laura salì sull'autobus 92 in via Garibaldi per tornare a casa e, avvicinandosi al solito seggiolino, intravide un nome, un numero. Sul suo viso si dipinse il suo sorriso più radioso.
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