sabato 16 agosto 2014

Love Story#05 - Cartacee amanti

"Ciao gente. A voi il quinto capitolo delle Love Story. Quella di questa volta è una relazione diversa dal solito che forse ha qualcosa in comune con Cuore di pietra. Come sempre spero che vi piaccia. Ci terrei a farvi notare che i libri citati nel testo esistono veramente e, se non avete nulla da leggere. ve li consiglio caldamente. Buona lettura"

Libri. Marco superò le porte scorrevoli all'ingresso della biblioteca.
Il pavimento di parquet scricchiolò sotto i suoi piedi. Non voleva studiare quella mattina.
L'estate non è la stagione dello studio, è la stagione degli amici.
Aveva pensato di chiamare Leonardo per fare un giro nei dintorni facendo credere alla madre di avere la testa tra le pagine.
Ma, neanche farlo apposta, il cellulare gli era scivolato dalle mani uscendo di casa e, rimbalzando, aveva raggiunto il pianerottolo del secondo piano.
Inutile dire che non ci fu verso di farlo funzionare.
Aveva sparato una decina di parolacce e imprecazioni infilandosi il cadavere del telefono in tasca.
Quindi niente Leonardo. O chiunque altro. E che senso avrebbe avuto andare in giro senza amici?
Non gli restava che entrare in quell'incubo che i nerd chiamavano biblioteca e cercare di mandare giù un paio di pagine per passare l'esame riparatorio di settembre.
Abbandonò lo zaino semi vuoto su una sedia e si afflosciò su quella a fianco imitando la cartella.
Sbuffò. Appoggiò la fronte al tavolo e aspettò che le nozioni di algebra gli entrassero magicamente in testa. Non aveva proprio voglia di studiare. Era l'unica cosa che avrebbe fatto quel giorno. Indirizzò non poche parolacce a sua madre che, quella mattina, l'aveva spinto fuori dalla porta gridando cosa aveva fatto per meritarsi un figlio simile.
Dopo un tempo che non seppe calcolare ma che di sicuro era di più di dieci minuti e meno di dieci ore alzò la testa e si guardò attorno. C'erano solo una quarantenne con il figlio di dieci anni e un uomo sulla settantina. Non poteva neanche sperare di rimorchiare...
Lanciò un'occhiata alla cartella che, anche così moscia e stropicciata, gli ringhiava con i suoi denti di zip.
Si alzò trascinandosi verso gli scaffali.
L'ultimo libro che aveva letto era stato Piccoli Brividi a nove anni. Tutto ciò che sapeva sulla lettura l'aveva imparato tra uno sbadiglio e l'altro durante le rare lezioni di antologia.
Si avvicinò alle mensole con circospezione, a distanza di sicurezza, come se quei volumi potessero allearsi con il suo zaino e saltargli al collo.
Passò davanti alle storie di ragazzi e ragazze. Odiava quel genere, tutti a raccontare i propri problemi...
Seguivano sette scomparti dedicati alle biografie. Ancora peggio, erano sempre scritte con un linguaggio noioso e antiquato.
Poi si passava ai racconti di fantasia. Detestabili, i loro scrittori erano quelli con meno fantasia di tutti. i romanzi erano tutti uguali: il cattivo vuole conquistare il mondo delle fate perché ha manie di potere e loro chiedono aiuto ai potenti maghi per sconfiggerlo... Letto uno li avevi letti tutti.
I miei primi libri. Figuriamoci... Al massimo avrebbe trovato "Gioco e imparo: i colori".
Libri in lingua: letali per i pochi coraggiosi che avevano l'ardire di leggerli. Davvero odiosissimi.
O forse era lui il caso perso? Effettivamente quei mucchietti di pagine non gli erano mai stati simpatici. Ci si teneva lontano come da una malattia mortale facilmente trasmissibile.
Tornando al tavolo passò davanti alla sezione fantascienza. Gli cadde l'occhio su una copertina bianca con una mano grigia e sbiadita nel mezzo. Al centro troneggiava in rosso la scritta Unwind: la divisione.
Era il primo ad incuriosirlo. Lo fece scivolare svogliatamente dal leggio dove era esposto e lesse la prima pagina poi la seconda e ancora la terza. Tornò al tavolo con gli occhi incollati alle pagine ingiallite senza alzarli neanche per spostare la sedia e sprofondarcisi maldestramente.

Quando richiuse il volume erano le quattro del pomeriggio. Non aveva neanche mangiato... Gli sembrava una follia eppure erano anni che non trovava niente del genere.
Tornò a mettere il libro sull'espositore e ne scelse un'altro dello stesso autore.
Everlost. Facendosi rapire dalle sue storie di fantasmi e mostri.

La bibliotecaria gli posò una mano sulla spalla.
-Ragazzo, sono le sette e mezza, la biblioteca chiude.-
-Ah, si, peccato.
-Guarda che puoi prenderlo in prestito il libro, eh.
-Fantastico- esclamò Marco alzandosi dalla sedia e barcollando stordito verso l'ufficio di prestito.
Uscì dalla biblioteca con il tomo stretto al petto e la cartella sulle spalle zittita da quell'avvenimento così
 inusuale.
Camminava con un sorriso ebete sui quadretti di porfido della via, il cappello in testa e la canottiera larga. Con quelle pagine tra le mani sembrava quasi una contraddizione.
Si svegliò dal suo torpore solo quando sentì le voci dei suoi amici dietro di se.
Non l'avevano visto e facevano chiasso come al solito appropriandosi della strada.
Si eclissò nel primo vicolo che gli capitò a tiro lasciando che lo superassero... Aveva il respiro affannoso...
Sembrava così insensato... Eppure sarebbe bastato quel libro per escluderlo dal gruppo nel quale era entrato con così tanta fatica.
Pensò subito di tornare indietro a restituire il volume e chiuderla per sempre con quella storia assurda. Eppure le gambe si rifiutavano di portarlo fuori dal vicolo , le braccia di smettere di stringere la copertina lucida e anche lui si rifiutava. Gli era bastato un pomeriggio per innamorarsi della lettura e non aveva la forza per lasciarla.
Quelli che l'avrebbero giudicato solo perché leggeva non erano suoi amici. Quelli che avrebbero fatto così facilmente a meno di lui non meritavano quel nome.
Ma non poteva auto escludersi. Oltre a loro non aveva nessuno.
Gli ci vollero dieci minuti per raggiungere la fermata dell'autobus e venti per raggiungere casa. Trenta minuti che gli servirono per decidere che mosse fare.
Avrebbe continuato a recitare la parte del duro mentre di notte si sarebbe rifugiato tra le braccia delle sue cartacee amanti.

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