Sono tornata dopo mesi di assenza (come al solito) ma ecco il frutto del mio impegno nello studio per gli esami di stato: ore passate davanti al computer invece che sui libri e sere che finiscono alle undici per finire di leggere quelle pagine. Penso che siano in combutta contro di me! Sono tante e fanno di tutto per essere incomprensibili! Così sfogo la mia frustrazione, accompagnata dall'assoluta certezza di essere la persona più tremenda che abbia mai camminato sul suolo terrestre, rigettando migliaia di parole nel computer... E sperando di essere miracolata ;)
I raggi screziati di un tardo pomeriggio di giugno
bruciavano il piccolo muretto a secco aggrappato alla collina. Le rondini
misuravano le distanze tra le nuvole e la città mandando fischi distanti. La
linea dell’orizzonte, irregolare e scura si era tinta di rosso, mentre in alto
l’azzurro guardava le nubi rincorrersi tra loro sospinte dalla brezza. La città
sembrava essersi fermata. I suoi rumori si erano spenti, zittiti dalla
distanza. I suoi colori gioiosi si erano fusi in un ammasso grigiastro che si
estendeva fin dove l’occhio riusciva a puntare. Nell'aria vagava il profumo
delle fragole sospeso nelle trame del vento gentile che carezzava le fronde
protese dei giovani gelsi. L’erba ingiallita dal sole ma verde dell’ultima
pioggia mormorava raccontando ai maggiolini storie di avventure passate. Issata
sul tufo sbriciolato dal caldo una ragazza fissava un punto indistinto e
lontano, al di là dei voli delle rondini e dell’orizzonte. Aveva i piedi nudi e la schiena scoperta.
Indossava un paio di jeans, lunghi,
rimboccati sulle caviglie sottili ed un reggiseno nero. Non aveva avuto tempo ne modo di infilare una
maglia. Quel pomeriggio si stava cambiando per andare ad una festa. Aveva
pensato agli abiti, ai ragazzi che di lì a poco avrebbe conosciuto, alle bibite
e alla trasgressione che si sarebbe scatenata nel locale. Aveva infilato i suoi
pantaloni preferiti e il top che le piaceva. Poi era caduta sul pavimento
freddo vittima di un dolore indescrivibile. Aveva urlato e pianto mentre la sua
schiena si squarciava e, ad una ad una, le tenere piume uscivano dalla sue
carne. Si era alzata a fatica portandosi davanti allo specchio. Due grandi ali,
forti e candide erano abbandonate alle sue spalle. Persa, si era sentita persa
e sola. Tutt’a un tratto estranea al mondo che la circondava e terribilmente
impotente. Cercava una soluzione, una dannata soluzione capace di risolvere
l’impossibile. Ma più la cercava più la disperazione saliva a chiuderle la
gola. Sua madre era al piano di sotto che lavava i piatti. L’avrebbe creduta un
mostro, suo fratello, malgrado i suoi diciannove anni sarebbe svenuto dallo
spavento e le sue amiche, dall'altro capo di un cellulare, l’avrebbero presa
per pazza. Urlò, frustata e distrutta. Scarabocchiò un addio sul muro e,
accanto alla scritta in pennarello, abbandonò un piccola piuma. Poi spalancò la
finestra e picchiò verso il parcheggio sottostante planando a pochi centimetri
dall'asfalto. Le venne in mente la collina, l’unico luogo solitario e
dimenticato dell’intera città.
Ora, abbandonata sul muricciolo rovente cercava conforto
nell'infinità del cielo che, nella tristezza, l’aveva sempre aiutata a tirare avanti. I capelli scuri ondeggiavano
incerti sulle grandi ali bianche abbandonate e stanche alle sue spalle. Aveva
gli occhi lucidi. In quelle pupille dilatate si leggeva paura e tristezza,
smarrimento. Chiedeva risposte alle quali nessuno poteva rispondere. Ripensava
a ciò che, all'improvviso, aveva perso. Gli amici, i familiari, l’estate, le
serate al mare, i fuochi sulla spiaggia…
Voleva tornare nella sua stanza, finire di vestirsi e farsi accompagnare da sua
madre alla serata che tanto aveva atteso. Voleva salutare il suo migliore
amico, ballare in mezzo alla gente, incontrare qualcuno che le rubasse il
cuore. In quel momento la sua vita stava funzionando davvero dopo un’Odissea di
eventi che avrebbe volentieri dimenticato. Ci era voluto del tempo ma era
finalmente riuscita a riassemblare i pezzi della sua vita complicata e a
sorridere di nuovo. Aveva combattuto contro lo sfinimento, l’angoscia, i
tradimenti, le delusioni, i sentimenti e aveva vinto. Ma contro l’impossibile
non poteva combattere. Cominciò a lottare contro se stessa, pregando la sua
mente di smetterla di pensare a ciò che aveva perso, di guardare verso il
futuro, ma no. Quella si ostinava a volerla angosciare. Laura guardò il cielo
ormai spento davanti a sé. Si alzò sul muro a secco e dispiegò le possenti ali.
Disse addio al mondo che aveva conosciuto e alla vita che aveva vissuto e si
costrinse a pensare al meglio. Vide solo una cosa: ciò che aveva sempre voluto.
Liberà. Poteva volare, gridare, essere finalmente la vera se stessa che per
anni aveva atteso. Avrebbe guardato chi l’aveva fatta soffrire planando sotto i
suoi occhi e ridendo insieme alle rondini. Signora del cielo esiliata da un
posto grigio e monotono chiamato Terra. Troppo vera e fragile per la malvagità
dei suoi abitanti, salvata dallo spirito dell’aria. Finalmente parte di quell'infinito
che, per tanto tempo, aveva desiderato. Rivolse un ultimo sguardo al passato ormai
lontano e si tuffò gridando nella notte giovane e adorna di stelle.