giovedì 4 settembre 2014

Love Story #09 - Mani sporche di stelle

"Ciao gente! Eccoci qui. Come promesso ecco il penultimo capitolo delle LoveStory, spero che vi piacerà: era mesi che cercavo di scriverla. Buona lettura a tutti :)"

Non parlava molto, anzi, a dirla tutta non parlava quasi mai. Le poche volte che era richiesto un suo parere su qualcosa mugugnava un sì o un no o dava voce a qualche impercettibile mugolio. Sua madre la giustificava dicendo che da bambina era stata vittima di bullismo e che quindi quella di avere meno relazioni possibili con il mondo esterno era una specie di autodifesa. Laura probabilmente capiva che quel suo atteggiamento era la causa della sua emarginazione dal gruppo ma non se ne curava. Forse ne era anche felice. In questo modo non incorreva nel rischio di fare cattive conoscenze. I compagni non la prendevano in giro; un po' per rispetto un po' per paura di quella lingua tagliente con la quale si guadagnava i voti migliori durante le interrogazioni. Laura non era stupida, per niente. Quelle volte che veniva chiamata alla lavagna spiazzava i professori con risposte coincise, chiare, che con il minimo sforzo lasciavano intendere concetti complicati che loro stessi avevano faticato a spiegarci. Aveva voti molto alti. Lo sguardo quando camminava sola per i corridoi era fiero, spavaldo e, quando qualche membro delle altre classi la prendeva in giro vedendola passare lei lo zittiva con un'occhiata, puntando su di lui quegli occhi profondi, incredibilmente glaciali anche nel loro color cioccolato. Il suo atteggiamento cambiava solo quando era fuori dalle mura scolastiche: prendeva a osservare il cielo, a squadrarne ogni porzione quasi infastidita dalla capacità mediocre che avevano i suoi occhi, di mostrarle solo così poco alla volta. Lo guardava quasi come se volesse coglierne l'essenza. Che era diversa da noi, che aveva un qualcosa in più, lo capivi subito. La sua personalità così forte e decisa andava oltre le salopette sporche di colore che portava sempre o le t-shirt semplicissime alle quali le abbinava o alle scarpe di cuoio che nessuno portava, oltre i suoi silenzi.
Sapeva sempre di vernice fresca e sapeva usare ogni tipo di pittura dai pastelli agli acrilici.
Aveva sempre una matita infilata dietro l'orecchio destro. Durante le lezioni non era mai veramente presente. Tirava fuori dallo zaino il suo blocco da disegno e si perdeva tra le sfumature della mina e dei pennarelli. I professori avevano smesso di riprenderla, comunque sapeva sempre rispondere ad ogni domanda ed era questo che a loro importava.
Un giorno, prima di andare a pranzo, dimenticò il blocco sul banco ed io mi nascosi in bagno aspettando che tutti scendessero. Mi avvicinai con cautela ai fogli con una sorta di rispetto quasi religioso e presi a sfogliarli.
Quelle pagine erano incredibili. Degne di un corso di disegno avanzato. C'erano tecniche che neanche conoscevo. Si riconoscevano i ritratti di ognuno di noi, qualche caricatura dei professori, gli alberi del giardino, studi di foglie secche e di fiori. C'era la riproduzione della nostra classe presa da varie angolazioni, disegni in stile manga, copie perfette di alcuni dei capolavori di grandi artisti. Ma quelli che mi colpirono più di tutti furono i paesaggi. Decine di paesaggi e di cieli tempestosi. Gli unici che aveva colorato. C'erano tramonti equatoriali, bufere in mezzo a mari plumbei che giocavano con minuscole navi indifese. C'erano campi di papaveri e di colza sotto volte celesti e violette, nuvole sfumate di rosa e di deliziosi colori pastello. Erano talmente curati da sembrare vivi. I firmamenti sui quali si era concentrata di più, però, erano quelli notturni. Milioni di piccole stelle che invadevano notti estive, quasi sfumate d'arancio. Angoli di spazio profondo, lune nascoste dietro a nuvole scure... Era di quelle stelle che aveva sempre le mani sporche. Erano pezzi del suo cielo che le si erano attaccati addosso.
Lo richiusi e tornai in bagno ad aspettare che la mia classe tornasse dal pranzo per unirmi a loro senza dare nell'occhio.
Forse ero l'unico che perdeva così tanto tempo ad osservare Laura. Forse, senza volerlo, mi ero innamorato di lei. Senza forse.
Quel pomeriggio la vidi buttare sul banco tutti i mozziconi delle matite che aveva nell'astuccio e la sentii maledirle sottovoce per essere diventate corte così in fretta.
Quando uscii da scuola andai nella cartolibreria del mio quartiere e comprai il set da disegno più bello che c'era in vendita. Il giorno dopo entrai in classe per primo e lo appoggiai sul suo banco insieme ad un biglietto. "Scusa, mi sono innamorato di te. Marco" Lei entrò poco dopo insieme ai pochi altri compagni e spalancò gli occhi quando vide la valigetta. Lesse il foglietto, guardò me, poi i miei compagni, lo infilò in tasca e disse ai pochi che si erano avvicinati:
-Oh, l'avevo dimenticato qui ieri.- si sedette e lo aprì.
Era impassibile ma da dove mi trovavo potevo vedere i suoi occhi lucidi.
Pensavo di aver fatto colpo, di essermi guadagnato la possibilità di avvicinarla, di parlarle, ma i giorni passavano e non ricevevo neanche un grazie.

Era il lunedì della settimana successiva e mi stavo maledicendo per aver speso così tanti soldi per una ragazza che, era chiaro, non mi avrebbe mai ricambiato. Entrai in classe a testa bassa dirigendomi verso il mio banco e salutando qua e là i miei amici. Appoggiato sulla lamina di plastica verde c'era una busta bianca sigillata.
La aprii fingendo noncuranza mentre il mio cuore minacciava di esplodere. Dentro c'erano una decina di miei ritratti, ognuno fatto con un tipo di colore diverso. C'era anche una lettera. "Scusa se ti rispondo solo ora, mi ci è voluto del tempo per provare su di te tutto il contenuto della valigetta. Non ti ringrazierò mai abbastanza. E' il più bel regalo che abbia mai ricevuto. Anche io mi sono innamorata di te per sbaglio. Stavo facendo il tuo ritratto, come ho fatto quello di tutti gli altri e mi sono accorta che i tratti del tuo viso erano incredibilmente piacevoli da riprodurre. Ne ho fatti altri, a casa ne ho un album pieno. E mano a mano che ripassavo i tuoi tratti mi accorgevo di amarti. Non ci sono abituata. Tutti quelli a cui ho aperto il mio cuore mi hanno ferita. Non hai idea di cosa voglia dire non avere nessuno oltre ai tuoi genitori per anni. Ho deciso di darti una possibilità. Non farmi soffrire." Alzai gli occhi e la guardai. Mi fece segno di seguirla fuori dalla classe. Lì, dietro alla porta, ci guardammo negli occhi. Le porsi la mano, lei mi tirò verso di sé e mi baciò. Vidi tutte le tonalità dei cieli stellati.

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