"Ciao gente! Eccoci qui con l'atteso capitolo di chiusura delle LoveStory. L'amore questa volta non è l'argomento principale perchè mi sono concentrata maggiormente sulla fine dell'estate. Dopo questo testo presumo che ci sarà un lungo periodo di silenzio da parte mia ma cercherò di farmi sentire qualche volta. Come al solito spero che vi piacerà e vi auguro un non troppo traumatico back to school. Buona lettura :)"
Laura era appoggiata alla ringhiera di legno del balcone della sua camera.
Fissava i monti che aveva davanti, le loro cime aguzze sporche di bianco si stagliavano contro il cielo terso di metà settembre.
Il sole si stava accoccolando tra le loro braccia di pietra lasciando l'aria alla frescura della sera.
Nella brezza timida che carezzava le foglie argentate del vecchio faggio del giardino si aggirava l'odore dolciastro e forte della legna bruciata e, in lontananza, si udivano le risa gaie figlie di una delle ultime feste d'estate.
Gruppi di rondini si allontanavano mirando alla linea scura dell'orizzonte, inseguendo quel sole veloce in cerca di calore.
Erano passati tanti anni eppure non si sarebbe mai abituata alla fine dell'estate, alla partenza di quell'amica complice delle più assurde avventure e delle più sincere risate.
Se ne andava silenziosa e tranquilla come la bassa marea.
Accarezzava i tetti arsi dal caldo dei suoi pomeriggi, scompigliava i capelli ai boschi e salutava i campi per poi dileguarsi seguita dai suoi cieli azzurri lasciando il posto all'autunno e la promessa di un ritorno.
Laura entrò in camera facendo scricchiolare il parquet e si sedette sul letto.
Si guardò intorno.
In quella stanza la battaglia tra le due stagioni era più evidente che all'aperto.
Sullo scaffale sopra alla scrivania disordinata riposavano docili i libri di scuola che, nel giro di pochi giorni, avrebbero cominciato a torturarla.
Accanto, dentro un vasetto di marmellata di pesche, la sabbia del mare scrutava spaesata i dintorni.
Lo zaino vuoto era abbandonato sulla sedia vicino al comodino pronto per pesarle sulla schiena.
Appoggiati allo schienale una maglietta macchiata di more e un paio di jeans strappati dai rovi di bosco cercavano invano di insegnare a quella cartella severa la pietà, raccontandole di lunghe passeggiate in montagna attraverso una foresta che, con i suoi fasci di luce, giocava a imitare le grandi cattedrali.
Sul comò un libro di fantascienza alonato di spray anti zanzare guardava con diffidenza le due biro che, nell'astuccio, erano pronte a dare battaglia a fogli di verifica.
Ma, soprattutto, sulla testiera del letto, attaccata precariamente a due pezzi di scotch c'era la foto di un ragazzo. Sorrideva con i capelli scompigliati dal vento e il mare sullo sfondo.
Ciò che le aveva lasciato quella stagione di sole erano emozioni, ricordi, macchie di frutta, amici ai quali difficilmente avrebbe scritto e altri che, invece, le sarebbero mancati. Sarebbero diventati tutti bei ricordi. Tranne quello di Marco che l'aspettava seduto sulla sabbia.
-Tornerò - disse, rivolta a quel sorriso che avrebbe atteso un suo bacio.
Le storie di Federica
Racconti scritti dai ragazzi per i ragazzi
sabato 13 settembre 2014
giovedì 4 settembre 2014
Love Story #09 - Mani sporche di stelle
"Ciao gente! Eccoci qui. Come promesso ecco il penultimo capitolo delle LoveStory, spero che vi piacerà: era mesi che cercavo di scriverla. Buona lettura a tutti :)"
Non parlava molto, anzi, a dirla tutta non parlava quasi mai. Le poche volte che era richiesto un suo parere su qualcosa mugugnava un sì o un no o dava voce a qualche impercettibile mugolio. Sua madre la giustificava dicendo che da bambina era stata vittima di bullismo e che quindi quella di avere meno relazioni possibili con il mondo esterno era una specie di autodifesa. Laura probabilmente capiva che quel suo atteggiamento era la causa della sua emarginazione dal gruppo ma non se ne curava. Forse ne era anche felice. In questo modo non incorreva nel rischio di fare cattive conoscenze. I compagni non la prendevano in giro; un po' per rispetto un po' per paura di quella lingua tagliente con la quale si guadagnava i voti migliori durante le interrogazioni. Laura non era stupida, per niente. Quelle volte che veniva chiamata alla lavagna spiazzava i professori con risposte coincise, chiare, che con il minimo sforzo lasciavano intendere concetti complicati che loro stessi avevano faticato a spiegarci. Aveva voti molto alti. Lo sguardo quando camminava sola per i corridoi era fiero, spavaldo e, quando qualche membro delle altre classi la prendeva in giro vedendola passare lei lo zittiva con un'occhiata, puntando su di lui quegli occhi profondi, incredibilmente glaciali anche nel loro color cioccolato. Il suo atteggiamento cambiava solo quando era fuori dalle mura scolastiche: prendeva a osservare il cielo, a squadrarne ogni porzione quasi infastidita dalla capacità mediocre che avevano i suoi occhi, di mostrarle solo così poco alla volta. Lo guardava quasi come se volesse coglierne l'essenza. Che era diversa da noi, che aveva un qualcosa in più, lo capivi subito. La sua personalità così forte e decisa andava oltre le salopette sporche di colore che portava sempre o le t-shirt semplicissime alle quali le abbinava o alle scarpe di cuoio che nessuno portava, oltre i suoi silenzi.
Sapeva sempre di vernice fresca e sapeva usare ogni tipo di pittura dai pastelli agli acrilici.
Aveva sempre una matita infilata dietro l'orecchio destro. Durante le lezioni non era mai veramente presente. Tirava fuori dallo zaino il suo blocco da disegno e si perdeva tra le sfumature della mina e dei pennarelli. I professori avevano smesso di riprenderla, comunque sapeva sempre rispondere ad ogni domanda ed era questo che a loro importava.
Un giorno, prima di andare a pranzo, dimenticò il blocco sul banco ed io mi nascosi in bagno aspettando che tutti scendessero. Mi avvicinai con cautela ai fogli con una sorta di rispetto quasi religioso e presi a sfogliarli.
Quelle pagine erano incredibili. Degne di un corso di disegno avanzato. C'erano tecniche che neanche conoscevo. Si riconoscevano i ritratti di ognuno di noi, qualche caricatura dei professori, gli alberi del giardino, studi di foglie secche e di fiori. C'era la riproduzione della nostra classe presa da varie angolazioni, disegni in stile manga, copie perfette di alcuni dei capolavori di grandi artisti. Ma quelli che mi colpirono più di tutti furono i paesaggi. Decine di paesaggi e di cieli tempestosi. Gli unici che aveva colorato. C'erano tramonti equatoriali, bufere in mezzo a mari plumbei che giocavano con minuscole navi indifese. C'erano campi di papaveri e di colza sotto volte celesti e violette, nuvole sfumate di rosa e di deliziosi colori pastello. Erano talmente curati da sembrare vivi. I firmamenti sui quali si era concentrata di più, però, erano quelli notturni. Milioni di piccole stelle che invadevano notti estive, quasi sfumate d'arancio. Angoli di spazio profondo, lune nascoste dietro a nuvole scure... Era di quelle stelle che aveva sempre le mani sporche. Erano pezzi del suo cielo che le si erano attaccati addosso.
Lo richiusi e tornai in bagno ad aspettare che la mia classe tornasse dal pranzo per unirmi a loro senza dare nell'occhio.
Forse ero l'unico che perdeva così tanto tempo ad osservare Laura. Forse, senza volerlo, mi ero innamorato di lei. Senza forse.
Quel pomeriggio la vidi buttare sul banco tutti i mozziconi delle matite che aveva nell'astuccio e la sentii maledirle sottovoce per essere diventate corte così in fretta.
Quando uscii da scuola andai nella cartolibreria del mio quartiere e comprai il set da disegno più bello che c'era in vendita. Il giorno dopo entrai in classe per primo e lo appoggiai sul suo banco insieme ad un biglietto. "Scusa, mi sono innamorato di te. Marco" Lei entrò poco dopo insieme ai pochi altri compagni e spalancò gli occhi quando vide la valigetta. Lesse il foglietto, guardò me, poi i miei compagni, lo infilò in tasca e disse ai pochi che si erano avvicinati:
-Oh, l'avevo dimenticato qui ieri.- si sedette e lo aprì.
Era impassibile ma da dove mi trovavo potevo vedere i suoi occhi lucidi.
Pensavo di aver fatto colpo, di essermi guadagnato la possibilità di avvicinarla, di parlarle, ma i giorni passavano e non ricevevo neanche un grazie.
Era il lunedì della settimana successiva e mi stavo maledicendo per aver speso così tanti soldi per una ragazza che, era chiaro, non mi avrebbe mai ricambiato. Entrai in classe a testa bassa dirigendomi verso il mio banco e salutando qua e là i miei amici. Appoggiato sulla lamina di plastica verde c'era una busta bianca sigillata.
La aprii fingendo noncuranza mentre il mio cuore minacciava di esplodere. Dentro c'erano una decina di miei ritratti, ognuno fatto con un tipo di colore diverso. C'era anche una lettera. "Scusa se ti rispondo solo ora, mi ci è voluto del tempo per provare su di te tutto il contenuto della valigetta. Non ti ringrazierò mai abbastanza. E' il più bel regalo che abbia mai ricevuto. Anche io mi sono innamorata di te per sbaglio. Stavo facendo il tuo ritratto, come ho fatto quello di tutti gli altri e mi sono accorta che i tratti del tuo viso erano incredibilmente piacevoli da riprodurre. Ne ho fatti altri, a casa ne ho un album pieno. E mano a mano che ripassavo i tuoi tratti mi accorgevo di amarti. Non ci sono abituata. Tutti quelli a cui ho aperto il mio cuore mi hanno ferita. Non hai idea di cosa voglia dire non avere nessuno oltre ai tuoi genitori per anni. Ho deciso di darti una possibilità. Non farmi soffrire." Alzai gli occhi e la guardai. Mi fece segno di seguirla fuori dalla classe. Lì, dietro alla porta, ci guardammo negli occhi. Le porsi la mano, lei mi tirò verso di sé e mi baciò. Vidi tutte le tonalità dei cieli stellati.
Non parlava molto, anzi, a dirla tutta non parlava quasi mai. Le poche volte che era richiesto un suo parere su qualcosa mugugnava un sì o un no o dava voce a qualche impercettibile mugolio. Sua madre la giustificava dicendo che da bambina era stata vittima di bullismo e che quindi quella di avere meno relazioni possibili con il mondo esterno era una specie di autodifesa. Laura probabilmente capiva che quel suo atteggiamento era la causa della sua emarginazione dal gruppo ma non se ne curava. Forse ne era anche felice. In questo modo non incorreva nel rischio di fare cattive conoscenze. I compagni non la prendevano in giro; un po' per rispetto un po' per paura di quella lingua tagliente con la quale si guadagnava i voti migliori durante le interrogazioni. Laura non era stupida, per niente. Quelle volte che veniva chiamata alla lavagna spiazzava i professori con risposte coincise, chiare, che con il minimo sforzo lasciavano intendere concetti complicati che loro stessi avevano faticato a spiegarci. Aveva voti molto alti. Lo sguardo quando camminava sola per i corridoi era fiero, spavaldo e, quando qualche membro delle altre classi la prendeva in giro vedendola passare lei lo zittiva con un'occhiata, puntando su di lui quegli occhi profondi, incredibilmente glaciali anche nel loro color cioccolato. Il suo atteggiamento cambiava solo quando era fuori dalle mura scolastiche: prendeva a osservare il cielo, a squadrarne ogni porzione quasi infastidita dalla capacità mediocre che avevano i suoi occhi, di mostrarle solo così poco alla volta. Lo guardava quasi come se volesse coglierne l'essenza. Che era diversa da noi, che aveva un qualcosa in più, lo capivi subito. La sua personalità così forte e decisa andava oltre le salopette sporche di colore che portava sempre o le t-shirt semplicissime alle quali le abbinava o alle scarpe di cuoio che nessuno portava, oltre i suoi silenzi.
Sapeva sempre di vernice fresca e sapeva usare ogni tipo di pittura dai pastelli agli acrilici.
Aveva sempre una matita infilata dietro l'orecchio destro. Durante le lezioni non era mai veramente presente. Tirava fuori dallo zaino il suo blocco da disegno e si perdeva tra le sfumature della mina e dei pennarelli. I professori avevano smesso di riprenderla, comunque sapeva sempre rispondere ad ogni domanda ed era questo che a loro importava.
Un giorno, prima di andare a pranzo, dimenticò il blocco sul banco ed io mi nascosi in bagno aspettando che tutti scendessero. Mi avvicinai con cautela ai fogli con una sorta di rispetto quasi religioso e presi a sfogliarli.
Quelle pagine erano incredibili. Degne di un corso di disegno avanzato. C'erano tecniche che neanche conoscevo. Si riconoscevano i ritratti di ognuno di noi, qualche caricatura dei professori, gli alberi del giardino, studi di foglie secche e di fiori. C'era la riproduzione della nostra classe presa da varie angolazioni, disegni in stile manga, copie perfette di alcuni dei capolavori di grandi artisti. Ma quelli che mi colpirono più di tutti furono i paesaggi. Decine di paesaggi e di cieli tempestosi. Gli unici che aveva colorato. C'erano tramonti equatoriali, bufere in mezzo a mari plumbei che giocavano con minuscole navi indifese. C'erano campi di papaveri e di colza sotto volte celesti e violette, nuvole sfumate di rosa e di deliziosi colori pastello. Erano talmente curati da sembrare vivi. I firmamenti sui quali si era concentrata di più, però, erano quelli notturni. Milioni di piccole stelle che invadevano notti estive, quasi sfumate d'arancio. Angoli di spazio profondo, lune nascoste dietro a nuvole scure... Era di quelle stelle che aveva sempre le mani sporche. Erano pezzi del suo cielo che le si erano attaccati addosso.
Lo richiusi e tornai in bagno ad aspettare che la mia classe tornasse dal pranzo per unirmi a loro senza dare nell'occhio.
Forse ero l'unico che perdeva così tanto tempo ad osservare Laura. Forse, senza volerlo, mi ero innamorato di lei. Senza forse.
Quel pomeriggio la vidi buttare sul banco tutti i mozziconi delle matite che aveva nell'astuccio e la sentii maledirle sottovoce per essere diventate corte così in fretta.
Quando uscii da scuola andai nella cartolibreria del mio quartiere e comprai il set da disegno più bello che c'era in vendita. Il giorno dopo entrai in classe per primo e lo appoggiai sul suo banco insieme ad un biglietto. "Scusa, mi sono innamorato di te. Marco" Lei entrò poco dopo insieme ai pochi altri compagni e spalancò gli occhi quando vide la valigetta. Lesse il foglietto, guardò me, poi i miei compagni, lo infilò in tasca e disse ai pochi che si erano avvicinati:
-Oh, l'avevo dimenticato qui ieri.- si sedette e lo aprì.
Era impassibile ma da dove mi trovavo potevo vedere i suoi occhi lucidi.
Pensavo di aver fatto colpo, di essermi guadagnato la possibilità di avvicinarla, di parlarle, ma i giorni passavano e non ricevevo neanche un grazie.
Era il lunedì della settimana successiva e mi stavo maledicendo per aver speso così tanti soldi per una ragazza che, era chiaro, non mi avrebbe mai ricambiato. Entrai in classe a testa bassa dirigendomi verso il mio banco e salutando qua e là i miei amici. Appoggiato sulla lamina di plastica verde c'era una busta bianca sigillata.
La aprii fingendo noncuranza mentre il mio cuore minacciava di esplodere. Dentro c'erano una decina di miei ritratti, ognuno fatto con un tipo di colore diverso. C'era anche una lettera. "Scusa se ti rispondo solo ora, mi ci è voluto del tempo per provare su di te tutto il contenuto della valigetta. Non ti ringrazierò mai abbastanza. E' il più bel regalo che abbia mai ricevuto. Anche io mi sono innamorata di te per sbaglio. Stavo facendo il tuo ritratto, come ho fatto quello di tutti gli altri e mi sono accorta che i tratti del tuo viso erano incredibilmente piacevoli da riprodurre. Ne ho fatti altri, a casa ne ho un album pieno. E mano a mano che ripassavo i tuoi tratti mi accorgevo di amarti. Non ci sono abituata. Tutti quelli a cui ho aperto il mio cuore mi hanno ferita. Non hai idea di cosa voglia dire non avere nessuno oltre ai tuoi genitori per anni. Ho deciso di darti una possibilità. Non farmi soffrire." Alzai gli occhi e la guardai. Mi fece segno di seguirla fuori dalla classe. Lì, dietro alla porta, ci guardammo negli occhi. Le porsi la mano, lei mi tirò verso di sé e mi baciò. Vidi tutte le tonalità dei cieli stellati.
lunedì 1 settembre 2014
Love Story #08 - Un passo avanti
"Ciao gente! Eccoci qua con un nuovo capitolo delle LoveStory dedicato agli innamorati con il freno della timidezza. Mi scuso se la scorsa settimana non sono riuscita a postare ma sono stata piuttosto occupata. In cambio scriverò due testi in questa. Mentre il capitolo della prossima, vi avverto, sarà l'ultimo della rubrica. Per il momento è tutto. Buona lettura :)"
Il problema di algebra.
Questo dannato problema di algebra. Esercizio 108 pagina 263.
Possibile che non riesca a risolverlo?
Le ho provate tutte ormai.
Con un'espressione, con una proporzione, con una frazione, con un grafico...
Mi fermo sempre allo stesso punto.
Un'ora e un quarto della mia vita sprecato per risolvere un inutile problema di algebra.
A quest'ora potrei essere a casa a giocare ai videogiochi prima che mia mamma rientri dal lavoro e mi ordini di spegnere tutto.
Oggi la biblioteca è così vuota che si sentirebbe cadere uno spillo...
La scuola comincia tra due settimane e io sono ancora qui a finire i compiti.
Che nervi.
Senza contare che oltre ad algebra ho ancora da finire quattro versioni di latino, una di greco e due libri tremendi da leggere.
Fortuna che esiste questo posto. Almeno non sento le urla e i risolini di mio fratello che gioca con i Lego.
Vorrei una bacchetta magica per prendere il diploma e potermene stare tranquillo fino all'inizio dell'università.
Basta! Adesso la smetto con questi pensieri inutili e mi sbrigo a uscire da qui.
Ho appena alzato gli occhi sull'orologio dopo un'altra mezz'ora passata a cercare la chiave di risoluzione di questo incubo di problema. Risultato? Ho scoperto che è tardi e che non sono capace di risolvere da solo gli esercizi con terzo livello di difficoltà.
Mi guardo intorno cercando di ripristinare le mie funzioni cerebrali che non riguardano la scuola.
Durante il mio coma matematico al tavolo a fianco al mio si è seduta una ragazza.
Oh cavolo! E' Laura!
Fa il mio stesso anno. Frequenta la classe a fianco alla mia.
Ci conosciamo dall'anno scorso e mi è sempre piaciuta ma non glielo mai detto...
Ragazzi... Non fate quella faccia...
E' difficile dichiararsi! Soprattutto quando lei è così bella, simpatica e popolare.
Non ne ho mai avuto la forza...
Però adesso mi serve una mano con questo problema e lei forse sa risolverlo.
-Laura, ciao, mi aiuteresti con questo problema per favore?
-Ciao Marco!- Bella la sua voce... Calda, piacevole e allo stesso tempo cristallina.-Ma sì dai, tanto non ho niente da fare. Sto aspettando le mie amiche.- Si alza e si avvicina silenziosa alla mia sedia.
-Qui?
-Già, non lo sa nessuno. C'è gente stupida che pensa che leggere sia da sfigati... Quindi preferisco che rimanga un segreto.- Mi fissa con i suoi occhioni scuri lasciando intuire un senso di irrequietezza sperando che affidare a me un'informazione così delicata non sia stato un errore.
-Ah, beh, con me è al sicuro.
-Bene. Vediamo questo problema.- Si avvicina a me e guarda l'esercizio per alcuni secondi poi dice:
-Oh, ma è facile.- Prende in mano la matita e scarabocchia alcuni numeri sul foglio- Vedi un po' se così ci riesci- sto squadrando la pagina a quadretti cercando di dare un senso alle cifre di grafite che ci sono comparse sopra.
-Laura! Sei un genio!
-Ah, è che quando non se ne ha voglia non si riesce a fare niente- lo schermo del suo cellulare si è appena illuminato- Oh, ecco, sono arrivate le mie amiche- si avvia verso lo scaffale per riporre il libro che stava leggendo. Mi si avvicina e mi bacia una guancia.
-Ciao Marco- il suo profumo... Mi avvinghio a lei affondando il naso tra i suoi capelli scuri, schiacciando il suo viso contro il mio.
-Marco... Devo andare- la sua voce mi riempie la testa . La stringo ancora più forte
-Senti, mi lasceresti il tuo numero? Così se magari non mi viene qualche altro problema ti mando un messaggio.
-Sì, dai. Scrivimi anche se non hai niente da fare. Anche quello è un problema.- mi fa un'occhiolino, si passa una mano tra i capelli e schiva agile i tavoli portando la sua figura sinuosa oltre la porta dell'entrata. Se ne va, spavalda, a testa alta verso gli ultimi giorni di sole.
Credo che da ora in poi avrò tanti momenti morti da riempire...
Il problema di algebra.
Questo dannato problema di algebra. Esercizio 108 pagina 263.
Possibile che non riesca a risolverlo?
Le ho provate tutte ormai.
Con un'espressione, con una proporzione, con una frazione, con un grafico...
Mi fermo sempre allo stesso punto.
Un'ora e un quarto della mia vita sprecato per risolvere un inutile problema di algebra.
A quest'ora potrei essere a casa a giocare ai videogiochi prima che mia mamma rientri dal lavoro e mi ordini di spegnere tutto.
Oggi la biblioteca è così vuota che si sentirebbe cadere uno spillo...
La scuola comincia tra due settimane e io sono ancora qui a finire i compiti.
Che nervi.
Senza contare che oltre ad algebra ho ancora da finire quattro versioni di latino, una di greco e due libri tremendi da leggere.
Fortuna che esiste questo posto. Almeno non sento le urla e i risolini di mio fratello che gioca con i Lego.
Vorrei una bacchetta magica per prendere il diploma e potermene stare tranquillo fino all'inizio dell'università.
Basta! Adesso la smetto con questi pensieri inutili e mi sbrigo a uscire da qui.
Ho appena alzato gli occhi sull'orologio dopo un'altra mezz'ora passata a cercare la chiave di risoluzione di questo incubo di problema. Risultato? Ho scoperto che è tardi e che non sono capace di risolvere da solo gli esercizi con terzo livello di difficoltà.
Mi guardo intorno cercando di ripristinare le mie funzioni cerebrali che non riguardano la scuola.
Durante il mio coma matematico al tavolo a fianco al mio si è seduta una ragazza.
Oh cavolo! E' Laura!
Fa il mio stesso anno. Frequenta la classe a fianco alla mia.
Ci conosciamo dall'anno scorso e mi è sempre piaciuta ma non glielo mai detto...
Ragazzi... Non fate quella faccia...
E' difficile dichiararsi! Soprattutto quando lei è così bella, simpatica e popolare.
Non ne ho mai avuto la forza...
Però adesso mi serve una mano con questo problema e lei forse sa risolverlo.
-Laura, ciao, mi aiuteresti con questo problema per favore?
-Ciao Marco!- Bella la sua voce... Calda, piacevole e allo stesso tempo cristallina.-Ma sì dai, tanto non ho niente da fare. Sto aspettando le mie amiche.- Si alza e si avvicina silenziosa alla mia sedia.
-Qui?
-Già, non lo sa nessuno. C'è gente stupida che pensa che leggere sia da sfigati... Quindi preferisco che rimanga un segreto.- Mi fissa con i suoi occhioni scuri lasciando intuire un senso di irrequietezza sperando che affidare a me un'informazione così delicata non sia stato un errore.
-Ah, beh, con me è al sicuro.
-Bene. Vediamo questo problema.- Si avvicina a me e guarda l'esercizio per alcuni secondi poi dice:
-Oh, ma è facile.- Prende in mano la matita e scarabocchia alcuni numeri sul foglio- Vedi un po' se così ci riesci- sto squadrando la pagina a quadretti cercando di dare un senso alle cifre di grafite che ci sono comparse sopra.
-Laura! Sei un genio!
-Ah, è che quando non se ne ha voglia non si riesce a fare niente- lo schermo del suo cellulare si è appena illuminato- Oh, ecco, sono arrivate le mie amiche- si avvia verso lo scaffale per riporre il libro che stava leggendo. Mi si avvicina e mi bacia una guancia.
-Ciao Marco- il suo profumo... Mi avvinghio a lei affondando il naso tra i suoi capelli scuri, schiacciando il suo viso contro il mio.
-Marco... Devo andare- la sua voce mi riempie la testa . La stringo ancora più forte
-Senti, mi lasceresti il tuo numero? Così se magari non mi viene qualche altro problema ti mando un messaggio.
-Sì, dai. Scrivimi anche se non hai niente da fare. Anche quello è un problema.- mi fa un'occhiolino, si passa una mano tra i capelli e schiva agile i tavoli portando la sua figura sinuosa oltre la porta dell'entrata. Se ne va, spavalda, a testa alta verso gli ultimi giorni di sole.
Credo che da ora in poi avrò tanti momenti morti da riempire...
sabato 23 agosto 2014
Love Story #06 - L'ultimo mozzicone
"Ciao gente! Eccomi qua con una nuova LoveStory. La pubblicazione di questa settimana è stata piuttosto tribolata ma, alla fine, ci sono riuscita. Come al solito cerco di essere innovativa per quanto riguarda l'amore cercando di prendere l'argomento da vari punti di vista. Spero che quello di oggi vi piaccia e mi auguro vi iscriverete in molti o che, almeno, lascerete un commentino ma, se non lo farete, mi accontenterò di avervi regalato un'altra emozione. Buona lettura a tutti!"
Freddo.
Laura alzò gli occhi fissando il cielo nero.
C'erano tante stelle in una notte senza luna, buia come gli incubi di chi ha perso la voglia di vivere,
Provò a fissarne una, poi un'altra e quella a fianco ma sembrava volessero sottrarsi al suo sguardo tremando imbarazzate davanti a tanta insistenza.
Il vicolo era vuoto e il ghiaccio infilato tra i blocchetti di porfido nero forzava le fessure con mano aggressiva. Di tanto in tanto, nel silenzio, echeggiava lo schiocco di una pietra che, arresa al gelo, si affacciava dalla sua tana di terra bruna.
Laura sfregava i piedi facendo grattare la polvere sugli anni del lastricato.
Strinse gli occhi fissando la luce balenante del lampione che aveva di fronte.
Digrignò i denti circondandosi dei suoi mille assurdi pensieri mentre il calore debole e insignificante di quell'arancio timido provava invano ad abbracciarla.
I capelli morbidi le incorniciavano il volto stanco.
In quella viuzza reietta si stava spargendo lentamente il suo aroma di tabacco.
Le spalle abbandonate sul muro scrostato.
Infilò una mano arrossata dal freddo nella tasca dei jeans ed estrasse il cellulare.
Mezzanotte e cinquantadue. Ancora otto minuti.
Premette il tasto di spegnimento e lo rimise dove l'aveva pescato.
Si massaggiò lentamente le dita indolenzite e screpolate osservandole vene bluastre.
Poi cercò il pacchetto di Marlboro rosse e ne accese una decisa a fumare la sua ultima sigaretta.
Soffiò verso l'alto quel misto sporco di fuliggine e catrame che da due anni le stava logorando i polmoni.
Sputò verso i gerani dell'ultimo piano, verso le imposte chiuse delle soffitte, i coppi arsi dal sole di un'estate troppo lontana e dimenticata e verso quelle stelle imprendibili che coronavano la notte.
Schiacciò con forza il piede sulla cenere grigiastra dopo aver buttato a terra il mozzicone e attese che i passi frettolosi e lontani che udiva si facessero più vicini.
-Amore! Che c'è? Vuoi farmi una sorpresa?-
-Si- Laura sorrise con amarezza alle parole del suo fidanzato.
-Una notte d'amore? Ti sei finalmente decisa?- Laura gli lanciò il pacchetto mezzo pieno sul petto.
-Direi di no... Ho deciso di tornare ad essere quella di un tempo. Te la ricordi? Quella che tu volevi morta e che io ho provveduto ad uccidere. Per amore. Ho rinunciato ai libri, alle ore in biblioteca, alle amiche che avevo da anni, alle camicie, alle ore di sonno al sera. Per amore. Ho cominciato a fumare, a trasgredire le regole, a trascurarmi, a frequentare persone volgari e ottuse. Solo per amore, per te, perché pensavo che tu valessi tutto questo. Ma non c'è niente di quello che volevo in quello che ho ora. Voglio tornare a sorridere, a profumare di mughetto e non di tabacco, voglio mettere le gonne, vedere film strappalacrime. Voglio me stessa indietro quella che ho fatto fuori per la felicità di qualcuno che non mi amava.
-Ma cosa stai dicendo?- Marco era allibito
-Tienile quelle sigarette. Laura Montichiari non è quella che hai davanti. Laura Montichiari non fuma. Voglio riavere la mia vita, Marco e il primo passo è chiudere con ciò che mi ha resa così. A cominciare da te. Lo faccio per amore ma questa volta di me stessa.
Freddo.
Laura alzò gli occhi fissando il cielo nero.
C'erano tante stelle in una notte senza luna, buia come gli incubi di chi ha perso la voglia di vivere,
Provò a fissarne una, poi un'altra e quella a fianco ma sembrava volessero sottrarsi al suo sguardo tremando imbarazzate davanti a tanta insistenza.
Il vicolo era vuoto e il ghiaccio infilato tra i blocchetti di porfido nero forzava le fessure con mano aggressiva. Di tanto in tanto, nel silenzio, echeggiava lo schiocco di una pietra che, arresa al gelo, si affacciava dalla sua tana di terra bruna.
Laura sfregava i piedi facendo grattare la polvere sugli anni del lastricato.
Strinse gli occhi fissando la luce balenante del lampione che aveva di fronte.
Digrignò i denti circondandosi dei suoi mille assurdi pensieri mentre il calore debole e insignificante di quell'arancio timido provava invano ad abbracciarla.
I capelli morbidi le incorniciavano il volto stanco.
In quella viuzza reietta si stava spargendo lentamente il suo aroma di tabacco.
Le spalle abbandonate sul muro scrostato.
Infilò una mano arrossata dal freddo nella tasca dei jeans ed estrasse il cellulare.
Mezzanotte e cinquantadue. Ancora otto minuti.
Premette il tasto di spegnimento e lo rimise dove l'aveva pescato.
Si massaggiò lentamente le dita indolenzite e screpolate osservandole vene bluastre.
Poi cercò il pacchetto di Marlboro rosse e ne accese una decisa a fumare la sua ultima sigaretta.
Soffiò verso l'alto quel misto sporco di fuliggine e catrame che da due anni le stava logorando i polmoni.
Sputò verso i gerani dell'ultimo piano, verso le imposte chiuse delle soffitte, i coppi arsi dal sole di un'estate troppo lontana e dimenticata e verso quelle stelle imprendibili che coronavano la notte.
Schiacciò con forza il piede sulla cenere grigiastra dopo aver buttato a terra il mozzicone e attese che i passi frettolosi e lontani che udiva si facessero più vicini.
-Amore! Che c'è? Vuoi farmi una sorpresa?-
-Si- Laura sorrise con amarezza alle parole del suo fidanzato.
-Una notte d'amore? Ti sei finalmente decisa?- Laura gli lanciò il pacchetto mezzo pieno sul petto.
-Direi di no... Ho deciso di tornare ad essere quella di un tempo. Te la ricordi? Quella che tu volevi morta e che io ho provveduto ad uccidere. Per amore. Ho rinunciato ai libri, alle ore in biblioteca, alle amiche che avevo da anni, alle camicie, alle ore di sonno al sera. Per amore. Ho cominciato a fumare, a trasgredire le regole, a trascurarmi, a frequentare persone volgari e ottuse. Solo per amore, per te, perché pensavo che tu valessi tutto questo. Ma non c'è niente di quello che volevo in quello che ho ora. Voglio tornare a sorridere, a profumare di mughetto e non di tabacco, voglio mettere le gonne, vedere film strappalacrime. Voglio me stessa indietro quella che ho fatto fuori per la felicità di qualcuno che non mi amava.
-Ma cosa stai dicendo?- Marco era allibito
-Tienile quelle sigarette. Laura Montichiari non è quella che hai davanti. Laura Montichiari non fuma. Voglio riavere la mia vita, Marco e il primo passo è chiudere con ciò che mi ha resa così. A cominciare da te. Lo faccio per amore ma questa volta di me stessa.
sabato 16 agosto 2014
Love Story#05 - Cartacee amanti
"Ciao gente. A voi il quinto capitolo delle Love Story. Quella di questa volta è una relazione diversa dal solito che forse ha qualcosa in comune con Cuore di pietra. Come sempre spero che vi piaccia. Ci terrei a farvi notare che i libri citati nel testo esistono veramente e, se non avete nulla da leggere. ve li consiglio caldamente. Buona lettura"
Libri. Marco superò le porte scorrevoli all'ingresso della biblioteca.
Il pavimento di parquet scricchiolò sotto i suoi piedi. Non voleva studiare quella mattina.
L'estate non è la stagione dello studio, è la stagione degli amici.
Aveva pensato di chiamare Leonardo per fare un giro nei dintorni facendo credere alla madre di avere la testa tra le pagine.
Ma, neanche farlo apposta, il cellulare gli era scivolato dalle mani uscendo di casa e, rimbalzando, aveva raggiunto il pianerottolo del secondo piano.
Inutile dire che non ci fu verso di farlo funzionare.
Aveva sparato una decina di parolacce e imprecazioni infilandosi il cadavere del telefono in tasca.
Quindi niente Leonardo. O chiunque altro. E che senso avrebbe avuto andare in giro senza amici?
Non gli restava che entrare in quell'incubo che i nerd chiamavano biblioteca e cercare di mandare giù un paio di pagine per passare l'esame riparatorio di settembre.
Abbandonò lo zaino semi vuoto su una sedia e si afflosciò su quella a fianco imitando la cartella.
Sbuffò. Appoggiò la fronte al tavolo e aspettò che le nozioni di algebra gli entrassero magicamente in testa. Non aveva proprio voglia di studiare. Era l'unica cosa che avrebbe fatto quel giorno. Indirizzò non poche parolacce a sua madre che, quella mattina, l'aveva spinto fuori dalla porta gridando cosa aveva fatto per meritarsi un figlio simile.
Dopo un tempo che non seppe calcolare ma che di sicuro era di più di dieci minuti e meno di dieci ore alzò la testa e si guardò attorno. C'erano solo una quarantenne con il figlio di dieci anni e un uomo sulla settantina. Non poteva neanche sperare di rimorchiare...
Lanciò un'occhiata alla cartella che, anche così moscia e stropicciata, gli ringhiava con i suoi denti di zip.
Si alzò trascinandosi verso gli scaffali.
L'ultimo libro che aveva letto era stato Piccoli Brividi a nove anni. Tutto ciò che sapeva sulla lettura l'aveva imparato tra uno sbadiglio e l'altro durante le rare lezioni di antologia.
Si avvicinò alle mensole con circospezione, a distanza di sicurezza, come se quei volumi potessero allearsi con il suo zaino e saltargli al collo.
Passò davanti alle storie di ragazzi e ragazze. Odiava quel genere, tutti a raccontare i propri problemi...
Seguivano sette scomparti dedicati alle biografie. Ancora peggio, erano sempre scritte con un linguaggio noioso e antiquato.
Poi si passava ai racconti di fantasia. Detestabili, i loro scrittori erano quelli con meno fantasia di tutti. i romanzi erano tutti uguali: il cattivo vuole conquistare il mondo delle fate perché ha manie di potere e loro chiedono aiuto ai potenti maghi per sconfiggerlo... Letto uno li avevi letti tutti.
I miei primi libri. Figuriamoci... Al massimo avrebbe trovato "Gioco e imparo: i colori".
Libri in lingua: letali per i pochi coraggiosi che avevano l'ardire di leggerli. Davvero odiosissimi.
O forse era lui il caso perso? Effettivamente quei mucchietti di pagine non gli erano mai stati simpatici. Ci si teneva lontano come da una malattia mortale facilmente trasmissibile.
Tornando al tavolo passò davanti alla sezione fantascienza. Gli cadde l'occhio su una copertina bianca con una mano grigia e sbiadita nel mezzo. Al centro troneggiava in rosso la scritta Unwind: la divisione.
Era il primo ad incuriosirlo. Lo fece scivolare svogliatamente dal leggio dove era esposto e lesse la prima pagina poi la seconda e ancora la terza. Tornò al tavolo con gli occhi incollati alle pagine ingiallite senza alzarli neanche per spostare la sedia e sprofondarcisi maldestramente.
Quando richiuse il volume erano le quattro del pomeriggio. Non aveva neanche mangiato... Gli sembrava una follia eppure erano anni che non trovava niente del genere.
Tornò a mettere il libro sull'espositore e ne scelse un'altro dello stesso autore.
Everlost. Facendosi rapire dalle sue storie di fantasmi e mostri.
La bibliotecaria gli posò una mano sulla spalla.
-Ragazzo, sono le sette e mezza, la biblioteca chiude.-
-Ah, si, peccato.
-Guarda che puoi prenderlo in prestito il libro, eh.
-Fantastico- esclamò Marco alzandosi dalla sedia e barcollando stordito verso l'ufficio di prestito.
Uscì dalla biblioteca con il tomo stretto al petto e la cartella sulle spalle zittita da quell'avvenimento così
inusuale.
Camminava con un sorriso ebete sui quadretti di porfido della via, il cappello in testa e la canottiera larga. Con quelle pagine tra le mani sembrava quasi una contraddizione.
Si svegliò dal suo torpore solo quando sentì le voci dei suoi amici dietro di se.
Non l'avevano visto e facevano chiasso come al solito appropriandosi della strada.
Si eclissò nel primo vicolo che gli capitò a tiro lasciando che lo superassero... Aveva il respiro affannoso...
Sembrava così insensato... Eppure sarebbe bastato quel libro per escluderlo dal gruppo nel quale era entrato con così tanta fatica.
Pensò subito di tornare indietro a restituire il volume e chiuderla per sempre con quella storia assurda. Eppure le gambe si rifiutavano di portarlo fuori dal vicolo , le braccia di smettere di stringere la copertina lucida e anche lui si rifiutava. Gli era bastato un pomeriggio per innamorarsi della lettura e non aveva la forza per lasciarla.
Quelli che l'avrebbero giudicato solo perché leggeva non erano suoi amici. Quelli che avrebbero fatto così facilmente a meno di lui non meritavano quel nome.
Ma non poteva auto escludersi. Oltre a loro non aveva nessuno.
Gli ci vollero dieci minuti per raggiungere la fermata dell'autobus e venti per raggiungere casa. Trenta minuti che gli servirono per decidere che mosse fare.
Avrebbe continuato a recitare la parte del duro mentre di notte si sarebbe rifugiato tra le braccia delle sue cartacee amanti.
Libri. Marco superò le porte scorrevoli all'ingresso della biblioteca.
Il pavimento di parquet scricchiolò sotto i suoi piedi. Non voleva studiare quella mattina.
L'estate non è la stagione dello studio, è la stagione degli amici.
Aveva pensato di chiamare Leonardo per fare un giro nei dintorni facendo credere alla madre di avere la testa tra le pagine.
Ma, neanche farlo apposta, il cellulare gli era scivolato dalle mani uscendo di casa e, rimbalzando, aveva raggiunto il pianerottolo del secondo piano.
Inutile dire che non ci fu verso di farlo funzionare.
Aveva sparato una decina di parolacce e imprecazioni infilandosi il cadavere del telefono in tasca.
Quindi niente Leonardo. O chiunque altro. E che senso avrebbe avuto andare in giro senza amici?
Non gli restava che entrare in quell'incubo che i nerd chiamavano biblioteca e cercare di mandare giù un paio di pagine per passare l'esame riparatorio di settembre.
Abbandonò lo zaino semi vuoto su una sedia e si afflosciò su quella a fianco imitando la cartella.
Sbuffò. Appoggiò la fronte al tavolo e aspettò che le nozioni di algebra gli entrassero magicamente in testa. Non aveva proprio voglia di studiare. Era l'unica cosa che avrebbe fatto quel giorno. Indirizzò non poche parolacce a sua madre che, quella mattina, l'aveva spinto fuori dalla porta gridando cosa aveva fatto per meritarsi un figlio simile.
Dopo un tempo che non seppe calcolare ma che di sicuro era di più di dieci minuti e meno di dieci ore alzò la testa e si guardò attorno. C'erano solo una quarantenne con il figlio di dieci anni e un uomo sulla settantina. Non poteva neanche sperare di rimorchiare...
Lanciò un'occhiata alla cartella che, anche così moscia e stropicciata, gli ringhiava con i suoi denti di zip.
Si alzò trascinandosi verso gli scaffali.
L'ultimo libro che aveva letto era stato Piccoli Brividi a nove anni. Tutto ciò che sapeva sulla lettura l'aveva imparato tra uno sbadiglio e l'altro durante le rare lezioni di antologia.
Si avvicinò alle mensole con circospezione, a distanza di sicurezza, come se quei volumi potessero allearsi con il suo zaino e saltargli al collo.
Passò davanti alle storie di ragazzi e ragazze. Odiava quel genere, tutti a raccontare i propri problemi...
Seguivano sette scomparti dedicati alle biografie. Ancora peggio, erano sempre scritte con un linguaggio noioso e antiquato.
Poi si passava ai racconti di fantasia. Detestabili, i loro scrittori erano quelli con meno fantasia di tutti. i romanzi erano tutti uguali: il cattivo vuole conquistare il mondo delle fate perché ha manie di potere e loro chiedono aiuto ai potenti maghi per sconfiggerlo... Letto uno li avevi letti tutti.
I miei primi libri. Figuriamoci... Al massimo avrebbe trovato "Gioco e imparo: i colori".
Libri in lingua: letali per i pochi coraggiosi che avevano l'ardire di leggerli. Davvero odiosissimi.
O forse era lui il caso perso? Effettivamente quei mucchietti di pagine non gli erano mai stati simpatici. Ci si teneva lontano come da una malattia mortale facilmente trasmissibile.
Tornando al tavolo passò davanti alla sezione fantascienza. Gli cadde l'occhio su una copertina bianca con una mano grigia e sbiadita nel mezzo. Al centro troneggiava in rosso la scritta Unwind: la divisione.
Era il primo ad incuriosirlo. Lo fece scivolare svogliatamente dal leggio dove era esposto e lesse la prima pagina poi la seconda e ancora la terza. Tornò al tavolo con gli occhi incollati alle pagine ingiallite senza alzarli neanche per spostare la sedia e sprofondarcisi maldestramente.
Quando richiuse il volume erano le quattro del pomeriggio. Non aveva neanche mangiato... Gli sembrava una follia eppure erano anni che non trovava niente del genere.
Tornò a mettere il libro sull'espositore e ne scelse un'altro dello stesso autore.
Everlost. Facendosi rapire dalle sue storie di fantasmi e mostri.
La bibliotecaria gli posò una mano sulla spalla.
-Ragazzo, sono le sette e mezza, la biblioteca chiude.-
-Ah, si, peccato.
-Guarda che puoi prenderlo in prestito il libro, eh.
-Fantastico- esclamò Marco alzandosi dalla sedia e barcollando stordito verso l'ufficio di prestito.
Uscì dalla biblioteca con il tomo stretto al petto e la cartella sulle spalle zittita da quell'avvenimento così
inusuale.
Camminava con un sorriso ebete sui quadretti di porfido della via, il cappello in testa e la canottiera larga. Con quelle pagine tra le mani sembrava quasi una contraddizione.
Si svegliò dal suo torpore solo quando sentì le voci dei suoi amici dietro di se.
Non l'avevano visto e facevano chiasso come al solito appropriandosi della strada.
Si eclissò nel primo vicolo che gli capitò a tiro lasciando che lo superassero... Aveva il respiro affannoso...
Sembrava così insensato... Eppure sarebbe bastato quel libro per escluderlo dal gruppo nel quale era entrato con così tanta fatica.
Pensò subito di tornare indietro a restituire il volume e chiuderla per sempre con quella storia assurda. Eppure le gambe si rifiutavano di portarlo fuori dal vicolo , le braccia di smettere di stringere la copertina lucida e anche lui si rifiutava. Gli era bastato un pomeriggio per innamorarsi della lettura e non aveva la forza per lasciarla.
Quelli che l'avrebbero giudicato solo perché leggeva non erano suoi amici. Quelli che avrebbero fatto così facilmente a meno di lui non meritavano quel nome.
Ma non poteva auto escludersi. Oltre a loro non aveva nessuno.
Gli ci vollero dieci minuti per raggiungere la fermata dell'autobus e venti per raggiungere casa. Trenta minuti che gli servirono per decidere che mosse fare.
Avrebbe continuato a recitare la parte del duro mentre di notte si sarebbe rifugiato tra le braccia delle sue cartacee amanti.
domenica 10 agosto 2014
Love Story #04- Il 92
"Ciao gente! Eccoci qui con la quarta LoveStory. Come al solito spero che vi piaccia. Ci tenevo a precisare che la storia è puramente inventata, così come i nomi dei personaggi e il numero di telefono di Marco. Grazie e buona lettura"
Laura aveva sette anni quando incontrò Marco per la prima volta.
Era estate.
Lui aveva due anni più di lei.
Non andavano semplicemente d'accordo, non si volevano semplicemente bene, si piacevano e non poco.
Stavano sempre insieme, parlavano di tante cose, correvano cercando di prendersi nel grande parco della scuola dove frequentavano il centro estivo.
Poi arrivarono gli abbracci, i baci sulle guance. Arrivò l'invidia degli altri bambini.
Le prese in giro, le derisioni, le frecciatine... Marco decise di non venire più né quell'anno né quelli successivi.
Non si videro per tre anni.
Arrivò una nuova estate e l'ultimo anno di centro estivo. Si videro tra centinaia di ragazzi che lo frequentavano ma non si parlarono, troppo timidi e timorosi.
Laura saltò sull'autobus in partenza e si sedette nell'ultimo posto a destra, vicino al finestrino.
Doveva andare in città con i suoi amici. Infilò le cuffie e prese a guardare il mondo che scorreva tranquillo al suo fianco. Finalmente aveva finito gli esami di terza media, poteva rilassarsi prima di ripartire con il nuovo anno scolastico.
Il rombo del motore si attutì mentre il veicolo sostava alla prima fermata.
Laura girò pigramente la testa e osservò una decina di persone salire sull'autobus. C'era un viso familiare tra loro... Anche lui la fissava... Laura ebbe un tuffo al cuore mentre le sue labbra si schiudevano per regalargli un largo sorriso. Marco Prato. Non era possibile. Avrebbe scommesso che non lo avrebbe più rivisto e invece... Eccolo lì a farsi strada tra la gente per sedersi affianco a lei. Non era bellissimo. Era un ragazzo normale ma agli occhi della ragazza non avrebbe potuto essere più attraente.
Laura raccolse le idee e si impose di calmarsi.
-Hey! Guarda chi si vede! Ciao Laura, come va?-
-Bene dai, tu?
-Non c'è male...
-Quindi tu adesso devi andare in terza superiore, giusto?
-Esatto. E tu in prima, no?
-Già...
-Come ti sono andati gli esami?
-Alla grande! Soprattutto perché sono finiti!
-Già, capisco. Che liceo hai scelto?
-Classico... Si lo so, sono iscritta al suicidio ma, cosa vuoi, mi piacciono le sfide.- aggiunse Laura ammiccando. -E tu? Liceo?
-No, no, io ho optato per un tecnico... Il liceo non fa per me.
-E nel tempo libero fai qualche attività? Incalzò lei.
-Si, teatro. Faccio parte di una bellissima compagnia. E tu?
-Pure. Adoro recitare.- "Chiedigli il numero di telefono, avanti!" Si disse tra sé Laura.
-Ma dai! Bello! Esclamò lui.
-Già.- "Dai, stupida! O adesso o mai più, dai!"- Senti...-
-Scendi in stazione?
-No, tre fermate dopo.
-Ah... Peccato... Beh, io sono arrivato, ci vediamo.- Si alzò e l'abbracciò più forte del necessario. Laura si perse tra le sfumature del suo profumo. Marco si staccò da lei e scese.
"Stupida! Chissà quando lo rivedrai adesso!" la sua vocina interiore era furibonda.
Laura si rincantucciò sul suo seggiolino e attese che l'autobus ripartisse.
Erano passati due mesi e ad ogni fermata Marco sperava di rivederla. Perché non aveva trovato il coraggio di chiederle il numero di telefono!? Si sarebbe preso a schiaffi da solo.
Il 92 si fermò davanti a lui per farlo salire e lui si fece largo tra la gente per raggiungere l'unico, insperato posto libero vicino al finestrino in fondo a destra. Prese a guardare fuori: alberi, strada, auto, ristorante, alberi, pompa di benzina, auto, auto, motorino, camion, ferramenta, alberi, pedoni, autobus.
Notò il gesto di saluto che il conducente rivolse al collega passandogli davanti e una ragazza con il naso schiacciato contro la vetrata seduta nell'ultimo posto. Laura lo stava fissando e gli fece un cenno con la mano prima di superarlo.
Cavolo! Sì, l'aveva rivista ma era servito solo ad avere ancora più voglia di lei. Il destino li teneva lontani. Marco aprì lo zaino, frugò tra portachiavi, auricolari ingarbugliati, chiavi , soldi, fogli stropicciati, penne scariche e finalmente trovò l'indelebile nero che stava cercando. Si girò e, velocemente, scrisse: MARCO PRATO 339 27 563 12.
Poi scese ricacciando il pennarello nello zaino.
Due giorni dopo Laura salì sull'autobus 92 in via Garibaldi per tornare a casa e, avvicinandosi al solito seggiolino, intravide un nome, un numero. Sul suo viso si dipinse il suo sorriso più radioso.
Laura aveva sette anni quando incontrò Marco per la prima volta.
Era estate.
Lui aveva due anni più di lei.
Non andavano semplicemente d'accordo, non si volevano semplicemente bene, si piacevano e non poco.
Stavano sempre insieme, parlavano di tante cose, correvano cercando di prendersi nel grande parco della scuola dove frequentavano il centro estivo.
Poi arrivarono gli abbracci, i baci sulle guance. Arrivò l'invidia degli altri bambini.
Le prese in giro, le derisioni, le frecciatine... Marco decise di non venire più né quell'anno né quelli successivi.
Non si videro per tre anni.
Arrivò una nuova estate e l'ultimo anno di centro estivo. Si videro tra centinaia di ragazzi che lo frequentavano ma non si parlarono, troppo timidi e timorosi.
Laura saltò sull'autobus in partenza e si sedette nell'ultimo posto a destra, vicino al finestrino.
Doveva andare in città con i suoi amici. Infilò le cuffie e prese a guardare il mondo che scorreva tranquillo al suo fianco. Finalmente aveva finito gli esami di terza media, poteva rilassarsi prima di ripartire con il nuovo anno scolastico.
Il rombo del motore si attutì mentre il veicolo sostava alla prima fermata.
Laura girò pigramente la testa e osservò una decina di persone salire sull'autobus. C'era un viso familiare tra loro... Anche lui la fissava... Laura ebbe un tuffo al cuore mentre le sue labbra si schiudevano per regalargli un largo sorriso. Marco Prato. Non era possibile. Avrebbe scommesso che non lo avrebbe più rivisto e invece... Eccolo lì a farsi strada tra la gente per sedersi affianco a lei. Non era bellissimo. Era un ragazzo normale ma agli occhi della ragazza non avrebbe potuto essere più attraente.
Laura raccolse le idee e si impose di calmarsi.
-Hey! Guarda chi si vede! Ciao Laura, come va?-
-Bene dai, tu?
-Non c'è male...
-Quindi tu adesso devi andare in terza superiore, giusto?
-Esatto. E tu in prima, no?
-Già...
-Come ti sono andati gli esami?
-Alla grande! Soprattutto perché sono finiti!
-Già, capisco. Che liceo hai scelto?
-Classico... Si lo so, sono iscritta al suicidio ma, cosa vuoi, mi piacciono le sfide.- aggiunse Laura ammiccando. -E tu? Liceo?
-No, no, io ho optato per un tecnico... Il liceo non fa per me.
-E nel tempo libero fai qualche attività? Incalzò lei.
-Si, teatro. Faccio parte di una bellissima compagnia. E tu?
-Pure. Adoro recitare.- "Chiedigli il numero di telefono, avanti!" Si disse tra sé Laura.
-Ma dai! Bello! Esclamò lui.
-Già.- "Dai, stupida! O adesso o mai più, dai!"- Senti...-
-Scendi in stazione?
-No, tre fermate dopo.
-Ah... Peccato... Beh, io sono arrivato, ci vediamo.- Si alzò e l'abbracciò più forte del necessario. Laura si perse tra le sfumature del suo profumo. Marco si staccò da lei e scese.
"Stupida! Chissà quando lo rivedrai adesso!" la sua vocina interiore era furibonda.
Laura si rincantucciò sul suo seggiolino e attese che l'autobus ripartisse.
Erano passati due mesi e ad ogni fermata Marco sperava di rivederla. Perché non aveva trovato il coraggio di chiederle il numero di telefono!? Si sarebbe preso a schiaffi da solo.
Il 92 si fermò davanti a lui per farlo salire e lui si fece largo tra la gente per raggiungere l'unico, insperato posto libero vicino al finestrino in fondo a destra. Prese a guardare fuori: alberi, strada, auto, ristorante, alberi, pompa di benzina, auto, auto, motorino, camion, ferramenta, alberi, pedoni, autobus.
Notò il gesto di saluto che il conducente rivolse al collega passandogli davanti e una ragazza con il naso schiacciato contro la vetrata seduta nell'ultimo posto. Laura lo stava fissando e gli fece un cenno con la mano prima di superarlo.
Cavolo! Sì, l'aveva rivista ma era servito solo ad avere ancora più voglia di lei. Il destino li teneva lontani. Marco aprì lo zaino, frugò tra portachiavi, auricolari ingarbugliati, chiavi , soldi, fogli stropicciati, penne scariche e finalmente trovò l'indelebile nero che stava cercando. Si girò e, velocemente, scrisse: MARCO PRATO 339 27 563 12.
Poi scese ricacciando il pennarello nello zaino.
Due giorni dopo Laura salì sull'autobus 92 in via Garibaldi per tornare a casa e, avvicinandosi al solito seggiolino, intravide un nome, un numero. Sul suo viso si dipinse il suo sorriso più radioso.
domenica 3 agosto 2014
Love Story #03 - Cuore di pietra
"Ciao gente! Eccoci qui con la consueta rubrica settimanale. Quella di questa volta, oltre ad essere più corta, sarà un po' diversa dalle altre. Ma non vi svelo nulla. Invece vi voglio informare che non avrò più un giorno fisso per postare le Love Stories ma che ne pubblicherò sempre una alla settimana. Per il momento dovrei aver detto tutto. Buona lettura"
Marco camminava, il passo lento nella notte giovane.
Aveva tutto il tempo del mondo.
Posava i piedi sui blocchetti di porfido notando la loro forma sotto le suole fini.
Si guardava attorno, gli occhi neri riflettevano le luci calde dei vecchi lampioni.
Respirava a fondo, quasi volendo dissolversi nell'aria notturna.
Voleva perdersi nei mille vicoli divenuti scuri col mancare del sole.
Li ricordava tutti per nome, conosceva ogni angolo.
Si lasciò avvolgere da quell'atmosfera così strana, sfumata eppure così familiare.
Percorreva piano le stradine semi deserte osservando i palazzi.
La sua città aveva sempre qualcosa da fargli scoprire.
Si fermò, appollaiandosi su una colonnina di marmo lucidata dal tempo.
Prese a pensare alle mani che l'avevano sfiorato.
Quante l'avevano maledetto dopo averci sbattuto contro? Quante ragazze vi ci erano sedute baciando i loro ragazzi? Quanti vecchietti l'avevano ringraziato di averli sostenuti dopo aver inciampato? Sicuramente molti non ci avevano nemmeno fatto caso: L'avevano semplicemente superato magari toccandolo per darsi una spinta nelle camminate frenetiche verso il lavoro. Probabilmente nessuno aveva mai riflettuto sulla sua storia come stava facendo lui in quel momento.
Davanti aveva un palazzo arancione schiarito dal sole estivo e crepato dal ghiaccio invernale.
Sotto il tetto si intravedevano le assi di legno tra le quali aveva nidificato una famiglia di rondini.
Le grondaie di ferro soffrivano la ruggine che da anni le tingeva di un rosso quasi purpureo e il muro che dava verso nord era segnato da piccole strisce di muffa verde di cui si sentiva l'odore.
A Marco piaceva quell'odore. Gli ricordava le sere passate a girovagare tra i marmi antichi di quella città così affollata di giorno quanto deserta di notte, quelle passate a scherzare con gli amici sotto un lampione balenante e una luna curiosa. Gli faceva affiorare alla mente l'aroma forte dei libri usati che era solito comprare nella bottega di mastro Gianni. Era pungente ma piacevole: ciò che aveva quell'odore aveva una storia da raccontare che lui poteva esplorare lasciandosi trasportare dai pensieri incomprensibili di un ragazzo ritenuto difficile.
Nelle ore di luce gli piaceva prestare attenzione anche all'odore della gente.
Molti sapevano di deodorante e bagno schiuma. Altri di sudore, chi di profumo, chi semplicemente di niente.
Ognuno contribuiva a riempire l'aria con le proprie parole: gli strani parlavano da soli, i ricchi all'auricolare, gli indaffarati al cellulare, gli amici chiacchieravano tra loro.
Nelle giornate di festa le persone gremivano la piazza e si spintonavano gentilmente e Marco non faceva altro che lasciarsi trasportare.
Amava quel posto. La sua gente, i suoi negozi, i suoi luoghi...
Non riusciva ad immaginare la propria vita in un luogo diverso.
Spesso pensava di essere pazzo ma riteneva di amare la propria città in modo più intenso di quanto era riuscito ad amare qualsiasi ragazza. Si sentiva ricambiato ma, soprattutto, sentiva di potersi fidare: lei non l'avrebbe mai tradito.
Lei, contro l'opinione di molti era viva, pulsane, pensante.
Scrutava da dietro i vetri di ogni finestra ornata di fiori o tende di pizzo con la distaccata attenzione di un'affascinante signora.
I tetti rossi di coppi seccati del vento erano capelli agghindati in una complicata acconciatura.
Le vie erano vene nelle quali scorreva indifferente la vita dei cittadini.
Erano vene datate, logorate, ma non stanche.
Pulsavano animate dai passi frettolosi della gente; pompata da un cuore grande e buono.
Nella piazza si risiedeva l'animo di quell'ammasso di marmi.
Era bella.
C'erano le opere di grandi artisti.
C'erano le risate dei bambini, gli abbracci delle coppie.
C'era un cuore di pietra che amava più di molti cuori umani.
Marco camminava, il passo lento nella notte giovane.
Aveva tutto il tempo del mondo.
Posava i piedi sui blocchetti di porfido notando la loro forma sotto le suole fini.
Si guardava attorno, gli occhi neri riflettevano le luci calde dei vecchi lampioni.
Respirava a fondo, quasi volendo dissolversi nell'aria notturna.
Voleva perdersi nei mille vicoli divenuti scuri col mancare del sole.
Li ricordava tutti per nome, conosceva ogni angolo.
Si lasciò avvolgere da quell'atmosfera così strana, sfumata eppure così familiare.
Percorreva piano le stradine semi deserte osservando i palazzi.
La sua città aveva sempre qualcosa da fargli scoprire.
Si fermò, appollaiandosi su una colonnina di marmo lucidata dal tempo.
Prese a pensare alle mani che l'avevano sfiorato.
Quante l'avevano maledetto dopo averci sbattuto contro? Quante ragazze vi ci erano sedute baciando i loro ragazzi? Quanti vecchietti l'avevano ringraziato di averli sostenuti dopo aver inciampato? Sicuramente molti non ci avevano nemmeno fatto caso: L'avevano semplicemente superato magari toccandolo per darsi una spinta nelle camminate frenetiche verso il lavoro. Probabilmente nessuno aveva mai riflettuto sulla sua storia come stava facendo lui in quel momento.
Davanti aveva un palazzo arancione schiarito dal sole estivo e crepato dal ghiaccio invernale.
Sotto il tetto si intravedevano le assi di legno tra le quali aveva nidificato una famiglia di rondini.
Le grondaie di ferro soffrivano la ruggine che da anni le tingeva di un rosso quasi purpureo e il muro che dava verso nord era segnato da piccole strisce di muffa verde di cui si sentiva l'odore.
A Marco piaceva quell'odore. Gli ricordava le sere passate a girovagare tra i marmi antichi di quella città così affollata di giorno quanto deserta di notte, quelle passate a scherzare con gli amici sotto un lampione balenante e una luna curiosa. Gli faceva affiorare alla mente l'aroma forte dei libri usati che era solito comprare nella bottega di mastro Gianni. Era pungente ma piacevole: ciò che aveva quell'odore aveva una storia da raccontare che lui poteva esplorare lasciandosi trasportare dai pensieri incomprensibili di un ragazzo ritenuto difficile.
Nelle ore di luce gli piaceva prestare attenzione anche all'odore della gente.
Molti sapevano di deodorante e bagno schiuma. Altri di sudore, chi di profumo, chi semplicemente di niente.
Ognuno contribuiva a riempire l'aria con le proprie parole: gli strani parlavano da soli, i ricchi all'auricolare, gli indaffarati al cellulare, gli amici chiacchieravano tra loro.
Nelle giornate di festa le persone gremivano la piazza e si spintonavano gentilmente e Marco non faceva altro che lasciarsi trasportare.
Amava quel posto. La sua gente, i suoi negozi, i suoi luoghi...
Non riusciva ad immaginare la propria vita in un luogo diverso.
Spesso pensava di essere pazzo ma riteneva di amare la propria città in modo più intenso di quanto era riuscito ad amare qualsiasi ragazza. Si sentiva ricambiato ma, soprattutto, sentiva di potersi fidare: lei non l'avrebbe mai tradito.
Lei, contro l'opinione di molti era viva, pulsane, pensante.
Scrutava da dietro i vetri di ogni finestra ornata di fiori o tende di pizzo con la distaccata attenzione di un'affascinante signora.
I tetti rossi di coppi seccati del vento erano capelli agghindati in una complicata acconciatura.
Le vie erano vene nelle quali scorreva indifferente la vita dei cittadini.
Erano vene datate, logorate, ma non stanche.
Pulsavano animate dai passi frettolosi della gente; pompata da un cuore grande e buono.
Nella piazza si risiedeva l'animo di quell'ammasso di marmi.
Era bella.
C'erano le opere di grandi artisti.
C'erano le risate dei bambini, gli abbracci delle coppie.
C'era un cuore di pietra che amava più di molti cuori umani.
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